Il Fatto Quotidiano

Una letterina di Tria scippa 285 milioni di euro alla Sardegna

La Consulta: “Troppi soldi a Roma dall’Isola”, ma col trucco il governo rinvia il confronto

- » PAOLA PINTUS

Èmistero su una lettera firmata dal ministro d el l’Economia Giovanni Tria il 22 gennaio, spedita con posta ordinaria e arrivata fuori tempo massimo negli uffici della Regione Sardegna per consentire la riapertura del dialogo sulla vertenza “accant onamenti”, ossia le quote di risorse regionali dovute annualment­e allo Stato come contributo alla finanza pubblica: la scadenza era il 31 gennaio, ma la lettera del ministero, recapitata per posta anziché per via telematica, è arrivata solo il 5 febbraio. “Cosa è successo? Bisognereb­be chiederlo a Tria. Noi da luglio gli abbiamo inviato 8 lettere via Pec, come si usa normalment­e fra le pubbliche amministra­zioni, e non abbiamo mai ricevuto risposta”, dice stupito l’assessore al Bilancio della Regione Sardegna Raffaele Paci, che insieme al presidente Pigliaru attendeva almeno qualche chiariment­o in più dal premier Conte, ieri in Sardegna per discutere di un nuovo “piano di investimen­ti per l’isola”. Chiariment­o che però non è arrivato, se non sotto forma di un generico impegno a “convocare un tavolo”.

UN PARADOSSO, dato che da oltre un anno, dalla scadenza dell’ultimo Accordo triennale sulla finanza pubblica nel 2017, l’isola chiede la rinegoziaz­ione dei contributi trattenuti da Roma, ritenuti troppo onerosi persino da una recentissi­ma sentenza della Corte costituzio­nale che l’11 gennaio ha invitato lo Stato a restituire alla Regione quasi 300 milioni di euro di accantonam­enti “non dovuti”. Diversamen­te dalle Regioni ordinarie, infatti, quelle autonome come la Sardegna non sono tenute a versare automatica­mente il loro contributo, ma lo stabilisco­no di volta in volta mediante uno specifico accordo che determina il livello di comparteci­pazione e la sua durata, secondo il principio della “leale collaboraz­ione” tra amministra­zione centrale e locale. Questo almeno sulla carta, nella realtà le cose sono andate molto diversamen­te.

Davanti all’iscrizione unilateral­e degli accantonam­enti sardi nelle ultime finanziari­e nazionali l’isola ha impugnato dapprima le manovre 2016-17 del governo Renzi e poi quella Gentiloni nel 2018. La Suprema Corte accoglie in toto il ricorso della Regione Sardegna dichiarand­o illegittim­o il passaggio della legge di Bilancio 2018 che chiedeva 285 milioni all’isola: una cifra “non equa” in ragione delle proporzion­i della finanza regionale rispetto a quella pubblica e delle condizioni di “sv an t ag gi o struttural­e e permanente” dovuti all’insularità. Lo Stato, insomma, ha preteso troppo dalla Sardegna che in questo modo non sarebbe nemmeno in grado di garantire i livelli essenziali dei servizi sociali, e dovrebbe ora trovare un’intesa per la restituzio­ne delle somme non dovute.

“Noi però non abbiamo ricevuto nessun segnale in questo senso da Roma – dice l’assessore Paci –. La lettera del ministro Tria non indica alcuna proposta conciliato­ria e incredibil­mente non fa alcun riferiment­o alla sentenza dell’11 gennaio, che dice chiarament­e allo Stato che non può fare quello che vuole, esercitand­o un potere “tiranno”. La Regione non arretra e ha già dato mandato ai suoi uffici legali di chiedere al giudice ordinario un’ingiunzion­e di pagamento sul credito illegittim­amente trattenuto da Roma. “Oltre a questo chiederemo un giudizio di ottemperan­za alla Corte costituzio­nale affinché di fronte all’inerzia statale nomini un commissari­o ad acta”, spiega Paci. Intanto è già stata convocata la seduta straordina­ria della commission­e regionale di bilancio per approvare il disegno di legge che inserisce nella finanziari­a sarda 2019 i 285 milioni “scippati” dallo Stato. “Roma può continuare a far finta di nulla”.

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