Il Fatto Quotidiano

Le cause della guerra dei pastori sardi

- » LORENZO CIPOLLA

“Il prezzo del latte così basso non consente ai produttori di sostenere le spese di produzione”. Lo certifica anche l’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (Ismea). Ed ecco il perchè della protesta dei pastori sardi: la bassa remunerazi­one alla stalla del latte di pecora sardo, che viene utilizzato per la produzione del pecorino romano. Una rivolta sbarcata ieri anche a Roma dopo che da mercoledì scorso la mobilitazi­one ha coinvolto tutta la Sardegna.

“ABBIAMOril­evato che da ottobre 2018 a gennaio 2019 il prezzo al litro del latte ovino sardo è passato da 73 centesimi Iva esclusa a 56 centesimi. Mentre i costi variabili di produzione sono di 70 centesimi”, spiega il presidente di Ismea Raffaele Borriello. La flessione poi si ripercuote sul costo del formaggio, sceso da 7,7 euro al chilo a 5,2 euro tra il 2017 e il 2018. Una dif- ferenza in negativo di 14 centesimi che ha effetti molto pesanti sui 14mila pastori sardi che pascolano e mungono 2,6 milioni di pecore e il cui latte copre il 60% di quello impiegato per fare il pecorino romano a denominazi­one di origine protetta per un volume d’affari tra i 180 e i 200 milioni di euro. Insomma, fino ad oggi i pastori sardi non si sono mai arricchiti con il frutto del loro lavoro, ma almeno sono riusciti a chiudere in pareggio. Oggi, invece, possono chiudere e basta. “Non c’è contrattaz­ione sul prezzo tra chi produce e chi trasforma e distribuis­ce; tutto viene quasi imposto ai pastori”, spiega Battista Cualbu, pastore e presidente di Coldiretti Sardegna. Che vede nel Consorzio per la tutela del pecorino romano dop l’origine dei problemi e ne chiede il commissari­amento.

L’imposizion­e del prezzo più basso che deriva dalle forme di pecorino invendute che restano nelle cantine è legata a due fattori. Il primo, riporta l’Istat, è il crollo delle esportazio­ni di pecorino romano nel nostro mercato di riferiment­o, gli Stati Uniti. Dove non sono diminuiti i consumi, ma sono cambiati i Paesi di approvvigi­onamento. L’Italia nei primi 10 mesi 2018 ha esportato il 46% in meno di pecorino romano rispetto al 2017. Mentre sono aumentate le esportazio­ni dei Paesi dell’est Europa come Romania e Bulgaria. Un aspetto sottolinea­to anche dal ministro delle Politiche agricole Gian Marco Centinaio a Radio Capital: “Non possiamo permettere che il pecorino venga fatto con il latte romeno e poi noi ci troviamo con i pastori in seria difficoltà”. L’altro fattore è, invece, l’eccesso della produzione, operata da chi fissa i tetti: le industrie del Consorzio. Secondo il Piano di regolazion­e non si possono produrre più di 280mila quintali di pecorino dop, mentre ne sono stati prodotti 341mila. “Il limite che ha posto il Consorzio basato su quanto latte può assorbire il mercato – spiega Cualbu – è sforato proprio da 15 soggetti, tra aziende private e cooperativ­e, che ne fanno parte”. I pastori sardi venuti ieri a protestare a davanti a Montecitor­io hanno chiesto e ottenuto dal ministro dell’Interno Salvini e da Centinaio un tavolo per domani al Viminale per trovare una soluzione. E le idee ce le hanno: il commissari­amento del Consorzio e, secondo Cualbu, un aiuto economico per liberare le cantine dove sono stoccate le forme di pecorino . Ma la cifra è ancora da quantifica­re.

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Ansa In protesta I pastori versano il latte a terra

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