I pro e i contro dell’autonomia “differenziata”
“Con le iniziative sull’autonomia differenziata si concretizza la “secessione dei ricchi”
(da “Verso la secessione dei ricchi?” di Gianfranco Viesti – Laterza, 2019 – pag.27)
Èun libro a tesi, ma è anche un libro aperto: nel senso che espone ai lettori i pro e i contro; e nel senso che, essendo fornito esclusivamente in versione digitale, sono previsti aggiornamenti in corso d’opera. Ed è, infine, un libro gratis: le 55 pagine si possono scaricare dal sito dell’editore Laterza
( www.laterza.it), semplicemente registrandosi con il proprio nome e cognome e l’indirizzo di posta elettronica. Una scelta di marketing editoriale che è innanzitutto una scelta mediatica e civile.
L’ha scritto Gianfranco Viesti, docente di Economia all’Università di Bari, intervistato ieri dal Fatto Quotidiano, per lanciare un allarme su quella che lui definisce la “secessione dei ricchi”: cioè la cosiddetta “autonomia differenziata” che tre regioni – il Veneto, la Lombardia e l’Emilia-Romagna – reclamano in nome di quel federalismo fiscale che è un vecchio cavallo di battaglia della Lega e in forza di quell’infausta riforma del Titolo V della Costituzione introdotta dal centrosinistra nel 2001. Queste regioni generano insieme il 40% del Pil nazionale, versano allo Stato più tributi di quante risorse ricevono e perciò pretendono più competenze, più finanziamenti e più servizi, in particolare per la sanità, le infrastrutture e la scuola.
ALLA LORO rivendicazione si sono aggiunte poi in varie forme il Piemonte, la Liguria, la Toscana, le Marche e l’Umbria. E come in un contagio virale, iniziative analoghe si registrano da parte di Lazio, Campania, Basilicata e Puglia. Al momento, solo l’Abruzzo e il Molise ne sono rimaste immuni.
Siamo, insomma, su una strada pericolosa che può portare alla disgregazione nazionale, accrescendo le disuguaglianze fra Nord e Centro-Sud, con cittadini di serie A e di serie B. Tanto più che già ora, con le cinque regioni a statuto speciale (Val d’Aosta, Trentino- Alto Adige, Friuli Venezia-Giulia, Sardegna e Sicilia) le disparità di trattamento con il resto d’Italia, e soprattutto con il Mezzogiorno, risultano rilevanti. Non mancherebbero anzi i motivi per rivedere oggi una tale situazione, stabilita originariamente in base alla condizione periferica di queste regioni, alla debolezza della loro economia e alla rispettiva identità storico-culturale.
Osserva nel suo saggio il professor Viesti: “Vi è poi una prevalenza di studi che mostrano come il decentramento (…) possa favorire processi di divergenza economica fra i diversi territori all’interno di un paese. I risultati sono diversi da caso a caso; ma certamente l’evidenza disponibile non consente di sostenere, al contrario, che un maggiore decentramento favorisce la convergenza economica fra le regioni”.
La partita si gioca, dunque, intorno al “residuo fiscale”: vale a dire la differenza fra quanto i cittadini di una determinata regione pagano e quanto ricevono dallo Stato. In soldoni – è proprio il caso di dirlo – si tratta di spostare risorse pubbliche, togliendo ai poveri per dare di più ai ricchi. Il contrario, insomma, di quanto faceva Robin Hood nella foresta di Sherwood.
Gli interessi economici sono chiari. Ma la vera posta in palio è l’unità nazionale, il senso di appartenenza e di solidarietà che tiene insieme un Paese. Sarebbe già tanto se, secondo l’auspicio di Viesti, si riuscisse ad aprire un confronto pubblico “non da posizioni ideologiche, aprioristiche, a favore o contro”. Il guaio è, però, che purtroppo agli interessi economici più o meno legittimi si sovrappongono anche quelli elettorali.