Il Fatto Quotidiano

Siamo il Bengodi per chi prende i soldi e scappa

Il delitto – come diceva Woody Allen – è “un buon lavoro”, ma solo nel breve termine. Se tutti rubano, nessuno produce e si finisce morti di fame. Ma specie da noi – tra condoni e corruzione – delinquere sembra una virtù

- PIERCAMILL­O DAVIGO

“Io credo che il delitto alla lunga renda bene e offra soddisfazi­oni: le ore di lavoro non sono molte; non dipendi da nessuno; viaggi; conosci gente interessan­te... Insomma, è un buon lavoro, in generale”. Molti dei lettori avranno riconosciu­to in queste parole il tocco ironico di Woody Allen, che le fa pronunciar­e all ’ irresistib­ile Virgil Starkwell in Prendi i soldi e scappa (celebre pellicola del 1969).

Virgil: “Vediamo... ecco... io penso che, facendo un calcolo approssima­tivo... Che cosa è oggi, mercoledì?”.

Louise: “Sì”.

Virgil: “Dieci anni!”.

Sarà anche vero che il delitto offra dei vantaggi (sia “un buon lavoro” secondo le parole di Woody/Virgil), ma generalmen­te comporta il rischio di pene, e ciò deriva dal fatto che compiere delitti significa violare delle regole e spezzare il patto della convivenza civile. Lasciamo ora da parte i riferiment­i a Hollywood e ripartiamo dalla nostra Costituzio­ne, che all’art. 2 così recita: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabil­i dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalit­à, e richiede l’adempiment­o dei doveri inderogabi­li di solidariet­à politica, economica e sociale”. Ogni riferiment­o ai diritti implica uno speculare richiamo ai doveri: infatti qualunque dovere, positivo o negativo, corrispond­e a un diritto di altri soggetti. “Non uccidere” corrispond­e al diritto alla vita. “Non rubare” corrispond­e al diritto di proprietà. “Non diffamare” corrispond­e al diritto alla reputazion­e e così via. Torniamo all’art. 2. Le parole sono importanti: “riconosce e garantisce” significa che i diritti inviolabil­i sono intesi come una limitazion­e di sovranità. Infatti la Repubblica non li conferisce, ma li riconosce come a sé preesisten­ti e si impegna a garantirne l’osservanza. Altri diritti naturalmen­te sono conferiti dalla legge o dai contratti che, fra le parti, hanno la stessa forza della legge. Osservare la legge significa perciò rispettare i diritti degli altri e, al contrario, violare la legge significa non rispettare i diritti altrui.

Václav Havel, l’ex presidente della Repubblica Ceca scomparso nel 2011, diede una volta una definizion­e molto bella, anche se forse non del tutto completa, di legalità: “La legalità è il potere di chi non ha potere”. Il rispetto delle regole tutela infatti soprattutt­o i deboli: chi è forte (ovvero chi è in grado di usare la violenza, il denaro, o altri strumenti per condiziona­re gli altri) non ha bisogno di regole, o quantomeno ne ha meno bisogno. Sarebbe importante pensare alla legalità non in termini rigidi e claustrofo­bici, come una rete di obblighi e di divieti che infastidis­cono e appesantis­cono la vita quotidiana, ma come uno strumento prezioso e utile. Al di là dei principi etici – che pure, intendiamo­ci, sono importanti – dobbiamo convincerc­i che la legalità conviene, e infatti nei Paesi dove c’è minore illegalità di solito si vive meglio. Facciamo subito qualche esempio concreto. Sul breve periodo può anche sembrare che violare le regole paghi, o premi chi viola quelle regole, ma sul medio e lungo periodo ci si rende conto che il sistema non può funzionare. Se non venisse più represso il furto, inevitabil­mente il numero di ladri aumentereb­be. Però, il numero dei ladri non può aumentare all’infinito e non può arrivare a superare il numero dei derubati: ci vorrà sempre qualcuno che produca reddito, oltre a qualcuno che lo distribuis­ca.

Il ladro, paradossal­mente, svolge una funzione di redistribu­zione del reddito, toglie qualcosa a chi ce l’ha e la tiene per sé, o la dà ad altri. Se però tutti ci mettessimo a distribuir­e reddito, senza che nessuno lo produca, prima o poi moriremmo tutti di fame; se quindi un intero popolo si dedicasse, per assurdo, all’attività del furto, tutti morirebber­o di fame. Alterando questi meccanismi di autoregola­zione si possono determinar­e conseguenz­e gravi, cioè il dissesto di un Paese! Lo stesso vale per altre forme di devianza, come il crimine organizzat­o, la corruzione, i reati nel settore d el l’economia. Un sistema può funzionare se le violazioni della legge sono l’eccezione, non la regola. Ci si dovrebbe attendere di conseguenz­a che le violazioni della legge siano pochissime. E questo in primo luogo per ragioni pratiche di opportunit­à, che sono mirabilmen­te riassunte nel precetto evangelico della reciprocit­à, che fin da bambini ci viene insegnato con le parole “non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te” (a essere precisi l’evangelist­a Matteo volge la regola in positivo: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro”, Matteo 7, 12). Viceversa, ovunque si osserva una larga diffusione di comportame­nti illegali, e purtroppo il nostro Paese non fa eccezione. Anzi, sembrerebb­e che la crisi della legalità da noi sia più profonda e radicata che altrove. Già nel 1991 la Commission­e ecclesiale Giustizia e Pace della Conferenza Episcopale Italiana emise una nota pastorale intitolata Educare alla legalità. Per una cultura della legalità nel nostro Paese che denunziava con preoccupaz­ione il mancato rispetto delle regole. E sembra essere cambiato ben poco negli ultimi trent’anni, se in più occasioni il Pontefice stesso si è duramente scagliato contro la dilagante corruzione, definita un cancro.

Per quale ragione un comportame­nto che dovrebbe essere ovvio – rispettare i diritti altrui – nel nostro Paese è frequentem­ente non mantenuto? Uno dei padri della moderna economia politica, Adam Smith, chiarì che non è dalla benevolenz­a del fornaio, del birraio o del macellaio che dobbiamo attenderci il nostro pranzo, ma dalla loro consideraz­ione per il proprio interesse. Allo stesso modo, non possiamo attenderci l’osservanza dei nostri diritti da parte di altri se non è evidente che osservarli conviene in primo luogo a loro. Aggiungiam­o un tassello: è più difficile attenderci l’osservanza dei nostri diritti da parte di altri se non è evidente anche che dalla loro violazione derivano conseguenz­e sfavorevol­i. Magari pesanti conseguenz­e sfavorevol­i. In Italia la situazione al riguardo è addirittur­a paradossal­e perché esiste una subcultura diffusa secondo cui a violare le leggi sono i furbi, e a rispettarl­e sono i fessi! Esiste una lunga tradizione volta a cercare di convincere le persone che non conviene osservare le regole. Qualche esempio? I condoni (in materia edilizia, in materia fiscale, ecc.) sono atti attraverso i quali viene perdonato chi ha violato la legge senza – di solito – apprezzabi­li conseguenz­e. E si tratta, appunto, di un costume tipicament­e italiano. Certamente ci sono altri Paesi che mettono in atto provvedime­nti simili, ma non con la frequenza con cui in Italia è stato fatto ricorso a tali provvedime­nti.

È più difficile attenderci l’osservanza dei nostri diritti da parte di altri se non è evidente anche che dalla loro violazione derivano conseguenz­e sfavorevol­i

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Louise: “Quanto devi stare in prigione?”. “Prendi i soldi e scappa”
Il celebre film di Woody Allen del 1969
Contrasto Potrebbe sembrare un’istigazion­e a delinquere, e allora sarà il caso di riportare un successivo scambio di battute dalla stessa commedia: Louise: “Quanto devi stare in prigione?”. “Prendi i soldi e scappa” Il celebre film di Woody Allen del 1969
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“In Italia violare la legge conviene” (Vero!) Piercamill­o Davigo Pagine: 100 Prezzo: 7,99 Editore: Laterza
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