Il Fatto Quotidiano

Pasqua, i misteri degl’ Incappucci­ati

Quando il riconoscim­ento Unesco?

- » FABRIZIO D’ESPOSITO

Apiedi

nudi, in un tempo senza tempo che inizia nel XVI secolo, laddove gli spagnoli lasciarono il segno della loro dominazion­e. A piedi nudi e con un cappuccio che fa vedere pochissimo. Due forellini quasi invisibili. Sono i perdùne ed escono in coppia, a due a due. A Taranto sono le tre del pomeriggio di Giovedì Santo: è il primo, solenne atto della Settimana

Santa. È il giorno dell’Ultima Cena: il tradimento di Giuda, l’arresto nell’Orto degli Ulivi, il processo, la flagellazi­one, la crocifissi­one. È il racconto evangelico della Passione e della Morte di Cristo. È l’ordine di sfilata delle procession­i della Settimana Santa. In Spagna le più note sono a Siviglia e in tutta l’Andalusia. In Italia, ci sono la Puglia, la Sicilia, la Campania, l’Abruzzo e non solo.

A“A piccoli passi” è il lavoro fotografic­o sulla Settimana Santa di Carlos Solito, che qui pubblichia­mo. Devoti e penitenti, si dedicano ogni anno a un millenario sentimento di fede

ERNESTO DE MARTINO L’uomo si è affidato a ripetizion­i ritmiche celesti per proteggere il troppo labile calendario del suo cuore

piedi nudi, in un tempo senza tempo che inizia nel Sedicesimo secolo, laddove gli spagnoli lasciarono il segno della loro dominazion­e. A piedi nudi e con un cappuccio che fa vedere pochissimo. Due forellini quasi invisibili anziché due buchi. Sono i perdùne ed escono in coppia, a due a due.

A Taranto sono le tre del pomeriggio di Giovedì Santo, caduto quest’anno il 18 aprile. È il primo, solenne atto della Settimana Santa nella città dei due mari e dell’Ilva.

Il Giovedì Santo è il giorno dell’Ultima Cena, quando Gesù non solo istituì l’Eucaristia, ma lavò anche i piedi agli apostoli. Pietro: “Non mi laverai mai i piedi”. Gesù: “Se non ti laverò, non avrai parte con me”. Sono le ore che a Gerusalemm­e precedono il tradimento di Giuda, l’arresto nell’Orto degli Ulivi, il processo, la flagellazi­one, la crocifissi­one. È il racconto evangelico della Passione e della Morte di Cristo.

Questi passi dettano l’ordine di sfilata delle procession­i della Settimana Santa. In Spagna le più note sono quelle di Siviglia e di tutta l’Andalusia. In Italia ci sono la Puglia, la Sicilia, la Campania, l’Abruzzo e non solo. Tra fiaccole e lampioni, gli incappucci­ati rappresent­ano ogni singolo momento di questo racconto. Ci sono i dadi con cui i soldati romani si giocarono le sue vesti. I flagelli che lo torturaron­o. La statua o il “m i s te r o ” dell’Ecce Homo, dalle parole di Ponzio Pilato quando se lo trovò dinnanzi. Ecco l’Uomo. Per taluni è solo folklore o fanatismo, inquinato talvolta dalla presenza delle mafie. In realtà, la penisola italica è la patria dell’antropolog­ia religiosa grazie allo storico e filosofo Ernesto de Martino, perlopiù dimenticat­o nel nostro paese, ma che ancora viene studiato in convegni e seminari in tutta Europa.

Il fine ultimo: espiare i peccati Il rituale della procession­e

I perdùne sono bianchi e cercano il perdono con la penitenza. Indossano il sacco della loro confratern­ita, quella del Carmine, e una mantellina chiamata “mozzetta”. Indi il cappuccio e il classico cappello nero. Il rito della loro vestizione è complesso e prevede una serie accurata di dettagli, dallo scapolare scuro alla mazza a bordone infine al nastro azzurro del cappello.

La coppia di perdùne forma una “posta”. La prima esce alle tre, l’ultima quando è già a notte fonda. È il pellegrina­ggio ai sepolcri, diviso in due percorsi: uno per la città nuova, l’altro per la vecchia, cioè l’isola dopo il ponte. A piedi nudi sull’asfalto, nazzicando. I perdùne non camminano, ma si dondolano. Nazzicare, appunto. Un passo lentissimo che dilata la stanchezza della loro penitenza.

A Taranto, il pellegrina­ggio dei

perdùne è diretto ai sepolcri. Un nome popolare che spesso trae in inganno. I sepolcri infatti non indicano la deposizion­e di Cristo morto. La loro esatta definizion­e liturgica è quella di altari della reposizion­e, cioè del tabernacol­o che accoglie l’Eucaristia appena istituita durante la l’Ultima Cena. “Questo è il mio corpo, prendete e mangiatene tutti. Fate questo in memoria di me”.

Nella notte che precede il Venerdì Santo c’è poi la Madre che cerca il Figlio. È la notte dell’Addolorata, che gira per le strade portata dai fratelli. Quest’anno a Taranto l’assegnazio­ne delle “sdanghe” (le lunghe assi di legno nero che sorreggono la base e il simulacro della Vergine) è stata battuta alla cifra record di 111 mila euro. L’asta si è tenuta, secondo la tradizione, nella Domenica delle Palme, che apre la Settimana Santa. In pratica, il gruppo di portatori si è aggiudicat­o con questi soldi l’onore di caricarsi sulle spalle la Madonna vestita già a lutto. La procession­e esce dalla chiesa di San Domenico, organizzat­a da un’altra

confratern­ita, e dura fino al pomeriggio del venerdì. Quasi quindici ore. Il corteo è aperto dal trocco

l an t e, che annuncia il passaggio degli incappucci­ati. La troccola è una tavoletta di legno con borchie e maniglie: quando viene agitata produce un rumore forte e inconfondi­bile. All’asta è stata battuta per 22 mila e 800 euro.

Dalla Puglia alla Sicilia, passando dalla Campania, nelle procession­i della notte non c’è solo la troccola a squarciare il silenzio di città e paesini. Cori e bande spesso accompagna­no gli incappucci­ati. Le bande intonano marce funebri e la più suonata nell’intero Mezzogiorn­o è quella del compositor­e siciliano Amedeo Vella, che a undici anni scrisse Una lagrima sulla tomba di mia madre per la morte della mamma. I cori sono invece formati da uomini e anche donne con l’abito della confratern­ita. Quello più noto canta il Miserere in latino, ossia il salmo di Davide che invoca misericord­ia per il suo peccato: ha fatto ammazzare in battaglia il fedele Uria per potere giacere con Betsabea, la moglie del soldato. Dopo il perdono, i due, Davide e Betsabea, avranno un figlio: Salomone. “Miserere mei Deus secundum magnam

misericord­iam”. Pietà di me o Dio, secondo la tua grande misericord­ia. Il Miserere ha varie versioni. C’è il Miserere gregoriano, quello dal Trovatore di Verdi e quello dell’abruzzese Saverio Selecchy.

L’obiettivo: il riconoscim­ento Unesco “patrimoni intangibil­i”

La sera del Venerdì Santo è l’acme della Passione e Morte di Cristo A Taranto ritornano i confratell­i del Carmine, quelli dei perdùne. Ma non ci sono solo le poste degli incappucci­ati che camminano a due a due, le cosiddette “poste”. Apre la troccola, poi la banda, il gonfalone della confratern­ita, la croce dei misteri e quindi la teoria delle otto statue che fanno rivivere quel dramma di duemila anni fa, dall’Orto degli Ulivi fino al Golgota, la collina della crocifissi­one. C’è il Cristo legato alla colonna per essere flagellato. C’è il Cristo che cade durante la via della croce, “la cascata”. E poi la statua di Gesù morto, seguita dall’Addolorata. Anche le statue vengono “dondolate” e la procession­e si chiuderà solo stamattina, nel sabato che precede la Pasqua di Resurrezio­ne. È l’ultimo atto dell’intensa Settimana Santa tarantina. Il t r oc c o l a n t e av a n z a verso il portone della chiesa del Carmine. Il suo nazzicare è ancora più estenuante, nonostante la stanchezza. Sembra quasi immobile. Invece raggiunge il portone, alza la mazza e scuote i pesanti portali di legno. La chiesa si apre e la procession­e si ritira. Tutto è compiuto.

L’Unesco da anni considera le manifestaz­ioni popolari nell’elenco della cultura. La lista dei “Patrimoni culturali intangibil­i”, creata dall’Unesco nel 2008, ha incluso fino a oggi un centinaio di tradizioni in tutto il mondo, per “aiutare a dimostrare le diversità e aumentare la consapevol­ezza della sua importanza”, come si legge nelle motivazion­i di questi riconoscim­enti. Tra le ultime manifestaz­ioni antiche italiane che, per la loro bellezza e per la grande partecipaz­ione di fedeli, meritano di essere tutelate: la Macchina di Santa Rosa di Viterbo, la Festa dei Gigli di Nola nel Napo

I “perdùne” Sono bianchi e cercano con la penitenza il perdono. Escono a due a due: sono una “posta”

letano, quella dei Candelieri di Sassari e la Varia di Palmi nel Reggino. Si va dal pellegrina­ggio annuale al mausoleo di Sid Abd el-Qader Ben Mohammed in Algeria alle tessere Jamdani del Bangladesh, dalla musica indiana Sankirtana del popolo Vaishnava alla pesca belga dei gamberetti a cavallo. Il riconoscim­ento dei riti della Settimana Santa come patrimonio culturale immaterial­e dell’umanità Unesco resta ancora un obiettivo. E sono almeno 28 le città - coinvolte regioni dall’Umbria alla Sardegna, passando per la Puglia e la Calabria - che hanno sottoscrit­to un protocollo d’intesa proprio per questo, l’anno scorso.

In Puglia la Settimana Santa ferma il tempo in molte paesi, soprattutt­o in provincia di Taranto e Brindisi. A Grottaglie, a Castellane­ta, a Ginosa, a Palagianel­lo. A Francavill­a Fontana, la procession­e del Venerdì Santo è curata dall’Arconfrate­rnita della Morte e Orazione. Gli incappucci­ati sono neri e la loro compagnia ha una congregazi­one madre che si trova a Roma, in via Giulia.

Le confratern­ite della Morte e Orazione esistono in tanti centri italiani. Nella Capitale la fondazione avvenne nel Medioevo. Dal primo statuto: “Nell’anno del Signore 1538, alcuni devoti Christiani, vedendo che molti poveri, li quali o per la loro povertà, overo per la lontananza del luogo dove morivano, il più delle volte non erano sepolti in luogo sacro, overo restavano senza sepoltura, e forse cibi di animali, mossi da zelo di carità e pietà, instituirn­o in Roma una Compagnia sotto il titolo della Morte”.

Cinque secoli dopo, queste compagnie, insieme con quelle mariane, che indossano sacchi bianchi, sono il midollo della Settimana Santa vissuta in questi giorni. E da oggi comincerà il conto alla rovescia per le procession­i del 2020. Funziona così, da decenni. Di padre in figlio e così via. Come recita un antico detto meridional­e: “Senza le procession­i non sarebbe Pasqua”.

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