Ama-Raggi, quei 18 milioni che innescarono la guerra
Le tappe Lo scontro lungo un anno tra il Campidoglio e l’ex ad Bagnacani sui crediti contestati per i servizi cimiteriali
Un conto da 18,2 milioni di euro. È questa la cifra alla base dello scontro tra il sindaco di Roma, Virginia Raggi, pezzi da novanta dell’amministrazione capitolina e Lorenzo Bagnacani, ex presidente e ad di Ama, la municipalizzata dei rifiuti. Da oltre un anno una città con un bilancio da oltre un miliardo e un’azienda che fattura circa 800 milioni sono appesi a una cifra che appare irrisoria. Lo scontro, però, sta mettendo in grave tensione finanziaria la seconda azienda della Capitale e in difficoltà la Giunta.
LA STORIA. La vicenda riguarda i 18 milioni di crediti per i servizi cimiteriali vantati da Ama nel bilancio 2017 sui quali Bagnacani, cacciato insieme al cda a febbraio, sostiene di avere ricevuto pressioni per non inserirli nel bilancio perché non riconosciuti dal Comune. È tutto scritto nell’ultimo esposto depositato da Bagnacani alla Procura di Roma, dopo quelli già inviati insieme al cda il 18 febbraio alla Corte dei conti e il 6 novembre scorso sempre in Procura. Bagnacani ha consegnato alcune registrazioni degli incontri con Raggi e alti dirigenti del Comune. In uno degli audio, Raggi dice a Bagnacani (nominato nel maggio 2017): “Lorenzo, devi modificare il bilancio come chiede il socio (....) se ti chiede di fare una modifica la devi fare! Anche se dicono che la luna è piatta”. Secondo Bagnacani, l’assessore al Bilancio, Gianni Lemmetti, motivò la necessità di eliminare la posta in bilancio per chiuderlo in passivo. Accuse smentite da Lemmetti, così come dalla Raggi.
I FATTI. Il 27 marzo 2018, il cda di Ama approva in via provvisoria il bilancio 2017, inglobando maggiori costi per i servizi cimiteriali dal 2009 al 2017 per 18 milioni, forte di una serie di pareri legali. Il collegio sindacale approva il bilancio, così come i revisori dei conti. Funziona così: Ama svolge il servizio e versa i proventi al Comune al netto dei costi per il servizio. Il contratto di servizio fissa un compenso “minimo”, poi l’azienda può richiedere, motivandoli, maggiori costi. Dal 2009 è successo così ogni anno: Ama ha iscritto maggiori crediti e il Comune non glieli ha contestati. Dopo marzo 2018 parte una disputa che si trascina per un anno. Il Comune non approva il bilancio. Vanno a vuoto 8 assemblee chiamate ad approvare i conti. Vengono chiesti lumi sui 18 milioni, e il 23 agosto arriva la richiesta di stornare l’importo. Il 20 novembre il Comune contesta formalmente il diritto di Ama a “introitare le maggiori somme incassate a titolo di corrispettivo della gestione dei servizi funebri e cimiteriali”. Nasce un nuovo scambio di lettere tra Comune e azienda.
L’ESCAMOTAGE. Il 5 dicembre il cda di Ama decide, forte di un ulteriore parere legale, di approvare il bilancio con un escamotage. Viene accantonato un fondo rischi a copertura dei 18 milioni – visto che la cifra è contestata dal Comune – che però impatta solo sul patrimonio e non sul conto economico, così la società può chiudere in utile per circa 500 mila euro, poco meno di quanto fatto nel 2016. A quel punto il collegio sindacale cambia versione e boccia il bilancio. La motivazione, in sintesi, è che l’escamotage sia di fatto un’ammissione che l’azienda non ha certezza di poter reclamare quella cifra, che deve impattare sul conto economico. L’8 febbraio 2019 la giunta capitolina boccia il bilancio Ama col voto contrario dell’assessore all’Ambiente Pinuccia Montanari, che si dimette. Il Comune, forte del parere del collegio sindacale, revoca il cda di Ama.
IL CAMPIDOGLIO. Raggi ha spiegato che il bilancio non poteva essere approvato perché il ragioniere generale, il segretario generale, l’assessore al Bilancio e i dipartimenti competenti hanno certificato l’impossibilità di riconoscere quel credito. Dall’assessorato al Bilancio spiegano che le contestazioni dei crediti erano state avviate prima del marzo 2017, al punto che già nella delibera di giunta che approvava il bilancio 2016 si indicava ai vertici di Ama di procedere nell’esercizio 2017 “a eventuali rettifiche che si dovessero rendere necessarie in conseguenza delle verifiche sui crediti/ debiti presso strutture dell’amministrazione capitolina”. Secondo i parere legali in mano ad Ama, nessuna contestazione era arrivata prima di marzo 2018. Secondo il Campidoglio era invece già partita un’interlocuzione formale per ottenere i giustificativi degli extra-costi. Raggi ha poi spiegato che il vero obiettivo dell’operazione era chiudere in utile il bilancio per permettere l’erogazione dei bonus di risultato ai vertici di Ama. Accusa smentita da Bagnacani e dagli altri consiglieri del Cda.
TENSIONI FINANZIARIE. Bagnacani denuncia che, dopo lo scontro sui crediti, il Comune non ha più concesso il pegno sui conti su cui transita la Tari, che Ama raccoglie e versa alle casse dell’amministrazione, a garanzia dei prestiti da oltre 300 milioni con le banche, che quindi hanno dimezzato le linee di credito. Ama ha così iniziato a versare in ritardo la Tari per evitare di restare senza liquidità. Il Comune ha preteso la restituzione delle somme. Se non si sblocca la situazione, Ama rischia una grave crisi finanziaria.
La disputa Il bilancio 2017 non è mai stato approvato. A rischio la garanzia dei prestiti concessi dalle banche