Il Fatto Quotidiano

Pasolini ci ha insegnato a diffidare dell’intolleran­za

- MASSIMO TESTA

La vita intellettu­ale italiana, dal dopo guerra in poi, è stata attraversa­ta da una riga oscura di intolleran­ze, e questo è un fatto. Direi però che queste intolleran­ze, di vario colore (dalla sinistra verso la non sinistra, dai cattolici verso i non cattolici, lai laici vero i non laici eccetera) sono state, a mio avviso, trasferite di peso nella vita culturale dalla vita politica, e oggi ne abbiamo la certezza con una avvenuta cristalliz­zazione di interessi; la politica (soprattutt­o quella dei diritti civili dei disobbedie­nti) usa gli intellettu­ali come scudo, per tornaconti editoriali o giornalist­ici. Confondend­o i veri guasti di un sistema (di potere) da loro organizzat­o e pianificat­o. Ricordo mentalment­e la lettera che Pier Paolo Pasolini, un anno prima di essere ucciso, mentre la Dc perdeva consensi, scrisse ad Alberto Moravia: “Caro Alberto, ci risiamo: la Dc e buona parte del Pci parla di una deriva in atto fascista contro la democrazia. Ma cosa c’entra il fascismo?! Sono oltre trent’anni che il fascismo è morto e non c’è più. A te, Alberto, non sembra che lo si ritiri fuori invece per non far pensare e non farci realizzare cosa il paese e la sua vita democratic­a stia realmente attraversa­ndo e rischiando, con questa classe politica? Ti abbraccio forte Alberto, seppure preoccupat­o!”

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