Pasolini ci ha insegnato a diffidare dell’intolleranza
La vita intellettuale italiana, dal dopo guerra in poi, è stata attraversata da una riga oscura di intolleranze, e questo è un fatto. Direi però che queste intolleranze, di vario colore (dalla sinistra verso la non sinistra, dai cattolici verso i non cattolici, lai laici vero i non laici eccetera) sono state, a mio avviso, trasferite di peso nella vita culturale dalla vita politica, e oggi ne abbiamo la certezza con una avvenuta cristallizzazione di interessi; la politica (soprattutto quella dei diritti civili dei disobbedienti) usa gli intellettuali come scudo, per tornaconti editoriali o giornalistici. Confondendo i veri guasti di un sistema (di potere) da loro organizzato e pianificato. Ricordo mentalmente la lettera che Pier Paolo Pasolini, un anno prima di essere ucciso, mentre la Dc perdeva consensi, scrisse ad Alberto Moravia: “Caro Alberto, ci risiamo: la Dc e buona parte del Pci parla di una deriva in atto fascista contro la democrazia. Ma cosa c’entra il fascismo?! Sono oltre trent’anni che il fascismo è morto e non c’è più. A te, Alberto, non sembra che lo si ritiri fuori invece per non far pensare e non farci realizzare cosa il paese e la sua vita democratica stia realmente attraversando e rischiando, con questa classe politica? Ti abbraccio forte Alberto, seppure preoccupato!”