I NODI IRRISOLTI DEL PD (CITOFONARE CALENDA)
Ègiusto fare un’apertura di credito verso Zingaretti: è segretario Pd solo da un mese, assume la guida di un partito reduce da una disfatta elettorale seguita da un anno di inerzia, sconta cospicui condizionamenti interni. Ma il nodo cruciale eminentemente politico del nuovo corso attiene al profilo identitario del Pd, ancora tutto da definire dopo la torsione impressagli dal corso renziano.
I TEST ELETTORALIregionali, pur nella sconfitta, hanno mostrato come tuttora il centrosinistra disponga di un suo bacino elettorale e il gruppo dirigente – da Zingaretti a Gentiloni – ha preso a sperare che, con il tempo, sia possibile ripristinare una sana polarizzazione destra-sinistra e che non ci si debba rassegnare a un’anomala polarizzazione tra Lega e 5 Stelle o tra asseriti populisti e sedicenti democratici. Sull’Espresso, Cacciari ragiona sul mutamento delle linee di frattura tra destre e sinistre in occidente. Sia sulla radicalizzazione della competizione-opposizione tra loro; sia sulla appropriazione da parte della destra di issues tradizionalmente di sinistra come quelle del disagio sociale, delle disuguaglianze, della sollecitudine per la condizione dei ceti popolari. Non più dunque una competizione che si sviluppa e si decide nella conquista del centro politico moderato, stemperando le differenze tra i competitor. Tanto più in quanto da noi ci siamo messi dietro le spalle la regola elettorale maggioritaria: la stagione renziana fu dominata infatti dalla esaltazione della logica maggioritaria, dalla suggestione del partito della nazione che converge al centro e dalla conseguente mutazione del Pd quale partito liberale e moderato contiguo a settori del centrodestra con i quali non sono mancati fasi e motivi di cooperazione. Nel nuovo scenario si richiederebbe invece, da parte di Zingaretti, di marcare una identità alternativa del Pd alle destre e dunque una netta discontinuità rispetto al corso renziano. Non si comprende perciò il peso riconosciuto dal nuovo Pd a Calenda, al suo manifesto, ai suoi candidati. Persino al rilievo assegnato a “Siamo europe i” nel simbolo elettorale. Al netto delle differenze personali (in realtà l’ego ipertrofico li accomuna), non si scorgono particolari differenze politiche tra Renzi e Calenda. Di più: nel riferimento alle famiglie politiche europee, Calenda assai più di Renzi – cui paradossalmente si deve la decisione, non so quanto convinta e attuale, di portare il Pd nel gruppo dei socialisti – si è mostrato ondivago e ambiguo, facendo intendere semmai una sua maggiore sintonia con il gruppo liberale. Lo stesso documento di Calenda “Siamo europei”, nella sua prima versione, poi emendata, contemplava un giudizio più che lusinghiero sui governi Renzi-Gentiloni (nei quali egli fu ministro di peso). Al punto da elevarli a governi riformatori tra i migliori della storia della Repubblica. Può il nuovo corso Pd, a valle della sonora bocciatura dello scorso anno e in presenza della sfida fattasi più radicale tra destra e sinistra sulla questione sociale cui si è fatto cenno, riproporsi quale partito liberale? Può pensare di ridefinire se stesso, la propria cultura, le proprie politiche e di “recuperare a sinistra” elettori (non ceto politico) semplicemente includendo un paio di candidature non di primo piano indicate da Mdp? Ben altro è il lavoro politico e culturale richiesto!
UN INDIZIO che la questione clou sia ancora tutta da istruire sta nella composizione delle liste. Le si racconta come unitarie in quanto espressive di un estenuante negoziato tra le correnti. In realtà liste che trasmettono l’idea di una identità politica irrisolta. È significativo che si sia paracadutato Calenda quale capolista nel nord est e che neppure si sia provato a proporlo appunto a Cacciari, pur suggerito da qualificati settori di opinione. Candidatura non meno autorevole, decisamente più radicata in quei territori e soprattutto più congeniale alla ricerca del profilo di una sinistra nuova, alternativa alla destra e, perché no, non timorosa nell’ingaggiare un confronto con il mondo dei 5 Stelle al fine di contrastare la destra di Salvini.
Si può comprendere che un segretario neoeletto abbia voluto privilegiare la mediazione e l’unità interna. Ma difficilmente egli potrà eludere il problema del profilo identitario del Pd quando la politica e la sua logica imporranno un chiarimento.