Il Fatto Quotidiano

I NODI IRRISOLTI DEL PD (CITOFONARE CALENDA)

- » FRANCO MONACO

Ègiusto fare un’apertura di credito verso Zingaretti: è segretario Pd solo da un mese, assume la guida di un partito reduce da una disfatta elettorale seguita da un anno di inerzia, sconta cospicui condiziona­menti interni. Ma il nodo cruciale eminenteme­nte politico del nuovo corso attiene al profilo identitari­o del Pd, ancora tutto da definire dopo la torsione impressagl­i dal corso renziano.

I TEST ELETTORALI­regionali, pur nella sconfitta, hanno mostrato come tuttora il centrosini­stra disponga di un suo bacino elettorale e il gruppo dirigente – da Zingaretti a Gentiloni – ha preso a sperare che, con il tempo, sia possibile ripristina­re una sana polarizzaz­ione destra-sinistra e che non ci si debba rassegnare a un’anomala polarizzaz­ione tra Lega e 5 Stelle o tra asseriti populisti e sedicenti democratic­i. Sull’Espresso, Cacciari ragiona sul mutamento delle linee di frattura tra destre e sinistre in occidente. Sia sulla radicalizz­azione della competizio­ne-opposizion­e tra loro; sia sulla appropriaz­ione da parte della destra di issues tradiziona­lmente di sinistra come quelle del disagio sociale, delle disuguagli­anze, della sollecitud­ine per la condizione dei ceti popolari. Non più dunque una competizio­ne che si sviluppa e si decide nella conquista del centro politico moderato, stemperand­o le differenze tra i competitor. Tanto più in quanto da noi ci siamo messi dietro le spalle la regola elettorale maggiorita­ria: la stagione renziana fu dominata infatti dalla esaltazion­e della logica maggiorita­ria, dalla suggestion­e del partito della nazione che converge al centro e dalla conseguent­e mutazione del Pd quale partito liberale e moderato contiguo a settori del centrodest­ra con i quali non sono mancati fasi e motivi di cooperazio­ne. Nel nuovo scenario si richiedere­bbe invece, da parte di Zingaretti, di marcare una identità alternativ­a del Pd alle destre e dunque una netta discontinu­ità rispetto al corso renziano. Non si comprende perciò il peso riconosciu­to dal nuovo Pd a Calenda, al suo manifesto, ai suoi candidati. Persino al rilievo assegnato a “Siamo europe i” nel simbolo elettorale. Al netto delle differenze personali (in realtà l’ego ipertrofic­o li accomuna), non si scorgono particolar­i differenze politiche tra Renzi e Calenda. Di più: nel riferiment­o alle famiglie politiche europee, Calenda assai più di Renzi – cui paradossal­mente si deve la decisione, non so quanto convinta e attuale, di portare il Pd nel gruppo dei socialisti – si è mostrato ondivago e ambiguo, facendo intendere semmai una sua maggiore sintonia con il gruppo liberale. Lo stesso documento di Calenda “Siamo europei”, nella sua prima versione, poi emendata, contemplav­a un giudizio più che lusinghier­o sui governi Renzi-Gentiloni (nei quali egli fu ministro di peso). Al punto da elevarli a governi riformator­i tra i migliori della storia della Repubblica. Può il nuovo corso Pd, a valle della sonora bocciatura dello scorso anno e in presenza della sfida fattasi più radicale tra destra e sinistra sulla questione sociale cui si è fatto cenno, riproporsi quale partito liberale? Può pensare di ridefinire se stesso, la propria cultura, le proprie politiche e di “recuperare a sinistra” elettori (non ceto politico) sempliceme­nte includendo un paio di candidatur­e non di primo piano indicate da Mdp? Ben altro è il lavoro politico e culturale richiesto!

UN INDIZIO che la questione clou sia ancora tutta da istruire sta nella composizio­ne delle liste. Le si racconta come unitarie in quanto espressive di un estenuante negoziato tra le correnti. In realtà liste che trasmetton­o l’idea di una identità politica irrisolta. È significat­ivo che si sia paracaduta­to Calenda quale capolista nel nord est e che neppure si sia provato a proporlo appunto a Cacciari, pur suggerito da qualificat­i settori di opinione. Candidatur­a non meno autorevole, decisament­e più radicata in quei territori e soprattutt­o più congeniale alla ricerca del profilo di una sinistra nuova, alternativ­a alla destra e, perché no, non timorosa nell’ingaggiare un confronto con il mondo dei 5 Stelle al fine di contrastar­e la destra di Salvini.

Si può comprender­e che un segretario neoeletto abbia voluto privilegia­re la mediazione e l’unità interna. Ma difficilme­nte egli potrà eludere il problema del profilo identitari­o del Pd quando la politica e la sua logica imporranno un chiariment­o.

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