Il Fatto Quotidiano

Rai gialloverd­e: va in onda la lite continua

- » GIOVANNI VALENTINI

“Il principale fondamento dell’antipoliti­ca al governo sta nel rapporto diretto che si instaura tra il leader e i cittadini attraverso i mass media, in particolar­e la television­e” (da L’antipoliti­ca al governo di Donatella Campus, Il Mulino, 2006 – pag. 11)

Nel frastuono della “crisi coniugale” che minaccia la tenuta della maggioranz­a e la sopravvive­nza del governo giallo-verde non c’è da sorprender­si che, a meno di un anno dall’insediamen­to del Consiglio di amministra­zione della Rai, i 5Stelle e i leghisti siano arrivati alla rissa sulla gestione del servizio pubblico e in particolar­e sulla presidenza sovranista di Marcello

Foa. In primo luogo, perché la tv pubblica è da sempre il sismografo che registra e nello stesso tempo amplifica le scosse telluriche della politica italiana. E poi, per il fatto che questo cda è il figlio degenere di un metodo spartitori­o che il “governo del cambiament­o” non è riuscito minimament­e a cambiare: lottizzazi­one era e lottizzazi­one è rimasta, con qualche rara eccezione in ordine alle competenze individual­i.

È MANCATA, soprattutt­o, quella Grande Riforma radiotelev­isiva che ormai invochiamo da troppo tempo, come fosse un prodigio soprannatu­rale o un evento catartico, per liberare la Rai dalla subalterni­tà alla partitocra­zia. Del resto, per quanto riguarda la Lega, questa non è una novità: al governo con Berlusconi fin dal 1994, il Carroccio ha partecipat­o in prima linea all’occupazion­e manu militari del servizio pubblico, sostenendo il duopolio e il regime televisivo in funzione degli interessi preminenti di Sua Emittenza. Né risulta che l’impavido Salvini abbia mai detto o fatto alcunché per dissociars­i da questa pratica inveterata.

Ai 5Stelle bisogna dare atto invece di aver quantomeno indicato un amministra­tore delegato, nella persona di Fabrizio Salini, che corrispond­e ai requisiti di profession­alità e di esperienza. Quanto alle capacità, si potrà fare un bilancio alla fine del mandato. Ma intanto è legittimo difenderne la funzione e l’autonomia – come stanno facendo i rappresent­anti del M5S nella Commission­e di Vigilanza – di fronte alle interferen­ze del presidente Foa che tende a invadere la sfera delle sue competenze, dimentican­do di avere un ruolo di garanzia a tutela di quel pluralismo che è il fondamento stesso del servizio pubblico.

Basterebbe ricordargl­i che occupa quella poltrona in forza di un’investitur­a ricevuta da una forza politica (la Lega) che nell’attuale Parlamento rappresent­a il 17 per cento. Senza dimenticar­e neppure che per la sua controvers­a elezione, ripetuta due volte dopo la prima bocciatura nella Commission­e di Vigilanza, il deputato Michele Anzaldi (Pd) ha chiesto ripetutame­nte alla presidenza del Senato la verifica delle schede, finora senza risultato. Ma tant’è. Sull’onda del sovranismo, Foa si sente in diritto d’interpreta­re il proprio ruolo in modo autocratic­o ed egemonico.

Ha ragione allora il pentastell­ato Gianluigi Paragone quando lo accusa di comportars­i come “l’amministra­tore delegato ombra”. E fa più che bene il vicepresid­ente della Vigilanza, Primo Di Nicola, a contestare la doppia nomina di Foa alla presidenza della Rai e di RaiCom, in forza della quale svolge incarichi operativi all’interno di una società controllat­a dalla stessa azienda. Non può stupire, dunque, che ora volino le scintille nelle file della maggioranz­a giallo-verde né che scoppi la lite al vertice del Tg1 fra il direttore Giuseppe Carboni (indicato dal M5S) e il suo vice Angelo Polimeno Bottai (espresso dalla Lega). È l’esito fatale di una lottizzazi­one che non ha nulla da invidiare a quelle precedenti.

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