Il colmo per Sánchez: senza i separatisti non può governare
Al votoIl 28 aprile i catalani che hanno affossato il leader socialista potrebbero servire alla maggioranza, contraria però al referendum
Dopo appena una settimana di campagna elettorale e a dieci giorni dalle urne del 20 aprile, i socialisti del premier spagnolo in carica, in corsa per il secondo mandato, Pedro Sánchez conquistano quasi quota 30 per cento di voti e, secondo gli ultimi sondaggi, si avviano alla vittoria con almeno 4 punti di distacco dalla destra del Partito popolare di Pablo Casado.
EPPURE PER SÁNCHEZ il futuro governo è tutto in salita. Ottenere il mandato di presidente, infatti, significherebbe un’alleanza precaria non solo con la sinistra di Pablo Iglesias – appena rimessasi in sesto dopo i litigi fratricidi con Inigo Errejon e passata dal maschile al femminile (Unidas podemos) – ma soprattutto far rientrare in casa gli indipendenti catalani di Oriol Junqueras. Sì, perché se è vero che le tanto temute destre non riuscirebbero neanche unite a ottenere la maggioranza – Pp, più Ciudadanos, più l’ultradestra di Vox a oggi arriva al 47% delle preferenze – non è facile per i socialisti, andati sotto all’ultima fiducia proprio per mano dei separatisti catalani, pensare a loro come alleati.
Almeno a giudicare dal programma del Partito socialista obrero di Sánchez, che, al capitolo Catalogna, non solo non menziona una qualche forma di referendum per l’indipendenza – è dalla pre-campagna che Sánchez ha rispolverato ‘no è no’ di femminista memoria per chiarire il concetto – ma parla genericamente di autogoverno della regione, senza approfondire la questione né tornare sul concetto di plurinazionalità dello Stato con il quale pure aveva vinto due anni fa la segreteria del Psoe. “Se c’è stata una formazione poli