“Cantù come Locri”: oltre 100 anni di condanne per i nove boss
'Ndrangheta in Lombardia
▶UN SECOLO di carcere. Sono stati tutti condannati i nove imputati nel processo sulla 'ndrangheta a Cantù, il comune in provincia di Como che tra il 2015 e il 2016 è diventato il teatro di un piccolo romanzo criminale con sparatorie, pestaggi e una gambizzazione nelle vie del centro. La corte del tribunale di Como ha inflitto la condanna più dura a Giuseppe Morabito, nipote del boss omonimo detto “U Tiradrittu”: 18 anni. Poco meno a Domenico Staiti (16 anni e 6 mesi) e a Rocco Depretis (16 anni e 4 mesi). Inferiori ai dieci anni la pena per Antonio Manno, Valerio Torzillo, Emanuele Zuccarello, Jacopo Duzioni, Andrea Scordo, Luca Di Bella.
Le indagini dei carabinieri erano iniziate nel 2015 a seguito di una serie di episodi violenti avvenuti nella piazza centrale della cittadina. A partire dal 4 ottobre 2015, quando la discoteca “Spazio” venne devastata da un gruppo di calabresi legati alla famiglia Morabito di Africo. L’unico a opporsi alla furia fu il 23enne Ludovico Muscatello, nipote di Salvatore Muscatello, anziano boss capo locale di Mariano Comense: dopo pochi giorni fu ferito con sei colpi di pistola mentre era davanti a una panetteria assieme ad alcuni dipendenti della discoteca. Una volta uscito dall’ospedale Muscatello si trasferì nel Milanese, lasciando campo libero a Morabito e soci che diventarono i “signori” della piazza. E a quel punto le violenze hanno cominciato a moltiplicarsi. Minacce, spari in strada, risse. L’ultimo episodio è il tentato omicidio di Andrea Giacalone, un barista della zona, che il 4 agosto 2016 è stato ferito da due colpi di fucile a canne mozze perché aveva corteggiato la donna di Manno. Il capo dell’antimafia milanese aveva paragonato “Cantù a Locri”. Il Comune, invece, aveva sempre rifiutato di costituirsi parte civile, parlando di semplici “atti di bullismo”. No, non era semplice bullismo.