Il Fatto Quotidiano

Amici, incontri e cattiverie: l’arte in ventisei ritratti

IL VOLUME Il critico Robert Storr intervista i protagonis­ti di oggi sul loro modo di concepire la creazione e sui rapporti con gli altri. E non mancano frecciatin­e e gelosie

- » ANGELO MOLICA FRANCO

Fortunato è il caso, come questo, in cui la copertina di un libro ne racconti compiutame­nte il senso. Tenendo in mano Interviste sull’arte di Robert Storr (Il Saggiatore, a cura di Francesca Pietropaol­o, pp. 416, euro 38), osserviamo l’immagine del citofono di un palazzo in cui a ognuno dei 26 interni raffigurat­i corrispond­e il nome di un artista: Letizia Battaglia, Louise Bourgeois, Richard Buckminste­r Fuller, Francesco Clemente, Alex Kats, Ellsworth Kelly, Jeff Koons, Paul McCarthy, Gerhard Richter (tra gli altri).

COSA SIA L’ARTE, quali siano i meccanismi istintuali che la muovano, è una domanda che non ha mai una risposta sola, ma sempre una risposta molteplice. Pertanto, l’idea di un condominio di più voci, di più ricordi (che molto cita la metafora di Sant’Agostino di un palazzo della memoria), calza perfettame­nte con il tono di queste interviste – intime, autentiche, riflessive – in cui gli artisti ascoltati non vogliono certo definire l’arte dentro l’etichetta del linguaggio, quanto piuttosto regalare l’inedita esperienza della chiamata all’arte, dello schianto che si prova quando si capisce di essere artisti.

Per la fotografa L etiz ia Battaglia (1935), tutto nasce dall’amore per la città di Palermo: mentre ricorda gli anni da fotoreport­er per il quotidiano palermitan­o L’Ora, ammette “non me ne fregava in realtà molto di essere [una fotografa]. A me interessav­a Palermo”; così come per il collettivo Alterazion­i Video, il progetto artistico Incompiuto Siciliano (2007) – che racconta “parcheggi senza uscite, dighe senz’acqua, stadi di polo senza cavalli e così via” – è un modo per “cambiare la percezione degli edifici incompiuti in Italia nati dalla speculazio­ne degli ultimi trent’an ni ”. Ugualmente “politico” è l’istinto di Jeff Koons (1955), che racconta le lotte e la rabbia sociali con l’arte che però, precisa, “non può stringere alcun tipo di alleanza politica, se non con se stessa”. Ma le ragioni possono essere meno collettive e più intime, senza perdere il loro carattere universale. Se per la scultrice Louise Bourgeois (1911-2010) modellare la materia equivale a curare le ferite del rapporto con la madre, l’essere stato un bambino presbite e strabico agli inizi del ’900 – quando l’ottica non era una scienza così avanzata – insegna a Richard Buckminste­r Fuller( 1895-1983) che “ci sono modi diversi di vedere le cose”: inventore, architetto, designer, costruì la sua prima casa (“una casetta graziosa in mezzo al bosco, ancora in piedi” racconta) per sfuggire ai cugini più grandi che lo bullizzava­no.

Se la sincerità è tale, è perché nelle interviste di Robert Storr non c’è scampo: lui pone “domande reali” e vuole sapere “cosa pensano e come pensano”. E proprio come in un condominio, non stupirà captare nel libro antipatie e pettegolez­zi: Koons non vuole “banalizzar­e” il proprio lavoro, serializza­ndo con multipli a basso costo come Keith Haring, e sempre lui limita Andy Warhol a sostegno della grandezza di Marcel Duchamp. Per il pittore G erhard Richter (1932), l’arte del suo connaziona­le Beuys è “un mezzo falso, quasi una truffa” e le sue idee sociali “assolutame­nte stupide”. Louise Bourgeois, invece, ricorda le difficoltà con un André Breton “geloso e possessivo”, Le Corbusier “patetico” come figura paterna per i giovani, e Peggy Guggenheim “una donna contro le donne”. Mentre Alex Katz (1927) odia i biopic sentimenta­li dedicati ai pittori e Paul McCarthy (1945) iniziò a dipingere col pene per “prendere in giro la New York School e l’idea di espression­ismo”.

MA NEL RIAVVOLGER­E senza rete di protezione la propria vita dedicata all’arte, c’è spazio anche per i maestri. Per Katz, è il compositor­e John Cage, un uomo “sempre aperto”, come pure per l’artista visual russa Olga Chernyshev­a( 1962) che pone Cage, “il più internazio­nale per mentalità e influenza di tutti gli artisti americani del XX s e co l o ”, accanto al regista russo Sergei Eisenstein; il pittore e scultore E llswo rth Kelly (1923-2015) confessa: “Picasso mi faceva venire voglia di dipingere”. Un tratto emerge, dunque, comune: che sia con un maestro amico o con un nemico, è l’incontro (con il mondo o con sé) il motore primo dell’arte, un incontro – come dice Letizia Battaglia – “o con la morte o con la vita”.

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Ansa In mostra L’artista americano Alex Katz

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