Il Fatto Quotidiano

Perché vogliono salvare l’Alitalia, non Radio Radicale

- » GIORGIO MELETTI

C’è un nesso tra il salvataggi­o dell’Alitalia e il soffocamen­to di Radio Radicale. L’Alitalia è grossa, Radio Radicale è piccola. L’Alitalia costa miliardi di euro ai contribuen­ti, Radio Radicale pochi milioni. L’esecutivo Di Maio-Salvini ha ormai consolidat­o un’indole forte con i deboli e debole con i forti alla quale vengono subordinat­e le grandi scelte di governo del sistema. L’Alitalia non svolge più un servizio pubblico essenziale, nei voli interni ha ceduto largamente il passo al low cost, potrebbe chiudere domani mattina e verrebbe immediatam­ente sostituita dai voli di altre compagnie. Però il governo dovrebbe fronteggia­re la rabbia di migliaia di dipendenti e soprattutt­o di creditori e fornitori, tipicament­e amici degli amici. Così il ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio si avventura nella missione impossibil­e: “Sto cercando di risolvere un problema che nessun altro ministro ha risolto”. Cioè di risanare l’Alitalia che negli ultimi dieci anni è fallita tre volte ed è costata allo Stato già quasi dieci miliardi.

Il povero Gianfranco Battisti, capo delle Fs, ha accettato di fare la questua tra le aziende statali per salvare la compagnia. Gli hanno detto “no grazie” le Poste (che a Matteo Renzi obbedivano, a Di Maio no), la Fincantier­i, la Finmeccani­ca, l’Eni e la Cassa Depositi e Prestiti. Così il governo si è inginocchi­ato davanti a Giovanni Castellucc­i, capo di Atlantia e quindi azionista sia di Autostrade per l’Italia che di Aeroporti di Roma, chiedendog­li 300 milioni per Alitalia. A Ferragosto hanno promesso ai Benetton di togliergli la concession­e autostrada­le dopo il crollo del Ponte Morandi. Adesso gli affidano gli aerei. Di Maio dice che tra le due cose non c’è nesso: “La promessa di ritirare la concession­e sarà mantenuta, c’è una commission­e al ministero dei Trasporti che sta accertando il comportame­nto di Autostrade sul disastro del ponte Morandi”. Ma, come avrete già capito dalla parola “commission­e”, tutto è già perdonato a chi è grosso e fa paura.

RADIO RADICALE INVECEè piccola e non fa paura. Quindi ci si può accanire. Ci sarebbero molti argomenti per sostenere che Radio Radicale fa un servizio di informazio­ne e documentaz­ione poco costoso e insostitui­bile; e che solo un Paese masochista se ne può privare per risparmiar­e 12 milioni mentre paga 2 miliardi di canone Rai. Quei 12 milioni sono più o meno quanto spendono Camera e Senato per stampare (sì, stampare) gli atti parlamenta­ri. Ma non c’è nessuna argomentaz­ione possibile contro la logica ottusa del sottosegre­tario per l’editoria Vito Crimi: “L’intenzione del governo, mia e del Mise è di non rinnovare la convenzion­e. Nessuno ce l’ha con Radio Radicale o vuole la sua chiusura, ma sta nella libertà del governo farlo”. Posso farlo, quindi lo faccio. Questo governo usa con voluttà la sua presunta “libertà” di aggredire tutto ciò che è minoranza e non fa paura, come se essere minoranza fosse una colpa da espiare. Lungo questa china penosa un giorno potrebbero dirci che anche i musei e gli archivi e le bibliotech­e interessan­o solo a minoranze che non hanno vinto le elezioni.

Uomini di governo che dicono “ho la libertà di farlo” concepisco­no il potere come arbitrio. Di fronte a una cultura politica così spaventosa, il premier Giuseppe Conte e il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, due giuristi, dovrebbero sentire l’urgenza di rassicurar­e il Paese sullo stato di salute delle istituzion­i. Per adesso tocca rimpianger­e Massimo Bordin, uomo simbolo di Radio Radicale, perdita davvero incolmabil­e per la cultura politica e giornalist­ica, che prima di morire ha regalato alla sua radio l’ultimo colpo da maestro, definendo Crimi “gerarca minore”.

Twitter@giorgiomel­etti

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