Perché vogliono salvare l’Alitalia, non Radio Radicale
C’è un nesso tra il salvataggio dell’Alitalia e il soffocamento di Radio Radicale. L’Alitalia è grossa, Radio Radicale è piccola. L’Alitalia costa miliardi di euro ai contribuenti, Radio Radicale pochi milioni. L’esecutivo Di Maio-Salvini ha ormai consolidato un’indole forte con i deboli e debole con i forti alla quale vengono subordinate le grandi scelte di governo del sistema. L’Alitalia non svolge più un servizio pubblico essenziale, nei voli interni ha ceduto largamente il passo al low cost, potrebbe chiudere domani mattina e verrebbe immediatamente sostituita dai voli di altre compagnie. Però il governo dovrebbe fronteggiare la rabbia di migliaia di dipendenti e soprattutto di creditori e fornitori, tipicamente amici degli amici. Così il ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio si avventura nella missione impossibile: “Sto cercando di risolvere un problema che nessun altro ministro ha risolto”. Cioè di risanare l’Alitalia che negli ultimi dieci anni è fallita tre volte ed è costata allo Stato già quasi dieci miliardi.
Il povero Gianfranco Battisti, capo delle Fs, ha accettato di fare la questua tra le aziende statali per salvare la compagnia. Gli hanno detto “no grazie” le Poste (che a Matteo Renzi obbedivano, a Di Maio no), la Fincantieri, la Finmeccanica, l’Eni e la Cassa Depositi e Prestiti. Così il governo si è inginocchiato davanti a Giovanni Castellucci, capo di Atlantia e quindi azionista sia di Autostrade per l’Italia che di Aeroporti di Roma, chiedendogli 300 milioni per Alitalia. A Ferragosto hanno promesso ai Benetton di togliergli la concessione autostradale dopo il crollo del Ponte Morandi. Adesso gli affidano gli aerei. Di Maio dice che tra le due cose non c’è nesso: “La promessa di ritirare la concessione sarà mantenuta, c’è una commissione al ministero dei Trasporti che sta accertando il comportamento di Autostrade sul disastro del ponte Morandi”. Ma, come avrete già capito dalla parola “commissione”, tutto è già perdonato a chi è grosso e fa paura.
RADIO RADICALE INVECEè piccola e non fa paura. Quindi ci si può accanire. Ci sarebbero molti argomenti per sostenere che Radio Radicale fa un servizio di informazione e documentazione poco costoso e insostituibile; e che solo un Paese masochista se ne può privare per risparmiare 12 milioni mentre paga 2 miliardi di canone Rai. Quei 12 milioni sono più o meno quanto spendono Camera e Senato per stampare (sì, stampare) gli atti parlamentari. Ma non c’è nessuna argomentazione possibile contro la logica ottusa del sottosegretario per l’editoria Vito Crimi: “L’intenzione del governo, mia e del Mise è di non rinnovare la convenzione. Nessuno ce l’ha con Radio Radicale o vuole la sua chiusura, ma sta nella libertà del governo farlo”. Posso farlo, quindi lo faccio. Questo governo usa con voluttà la sua presunta “libertà” di aggredire tutto ciò che è minoranza e non fa paura, come se essere minoranza fosse una colpa da espiare. Lungo questa china penosa un giorno potrebbero dirci che anche i musei e gli archivi e le biblioteche interessano solo a minoranze che non hanno vinto le elezioni.
Uomini di governo che dicono “ho la libertà di farlo” concepiscono il potere come arbitrio. Di fronte a una cultura politica così spaventosa, il premier Giuseppe Conte e il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, due giuristi, dovrebbero sentire l’urgenza di rassicurare il Paese sullo stato di salute delle istituzioni. Per adesso tocca rimpiangere Massimo Bordin, uomo simbolo di Radio Radicale, perdita davvero incolmabile per la cultura politica e giornalistica, che prima di morire ha regalato alla sua radio l’ultimo colpo da maestro, definendo Crimi “gerarca minore”.
Twitter@giorgiomeletti