Il Fatto Quotidiano

Il Metodo Raggi

- » MARCO TRAVAGLIO

L’ufficio stampa di Virginia Raggi non me ne voglia, ma penso che andrebbe licenziato in tronco. Le sue funzioni possono essere svolte egregiamen­te, e soprattutt­o gratuitame­nte, dall’intera stampa italiana. Da quando, quasi tre anni fa, la Raggi fu eletta col 67% dei voti, non passa giorno senza che l’“informazio­ne” la mostrifich­i con ogni mezzo, come mai era accaduto a un politico incensurat­o e onesto. Ripetono che va giudicata sugli scarsi risultati della sua giunta (fra errori, ritardi, inefficien­ze e gaffe, si potrebbe riempire una Treccani). Ma poi mirano a ben altro: dipingerla come una delinquent­e, una corrotta, una fascista mascherata, una sgualdrina. Perché lo sanno benissimo che darle dell’incapace non basta: in una città sgovernata per decenni da incapaci e ladri o complici di ladri che l’hanno grassata e spolpata fino al midollo, se non si dimostra che ruba anche lei l’accusa di inefficien­za non basta. Pazienza se mai è stata sospettata di corruzione e dall’unico processo, per falso, l’hanno assolta.

L’Espr esso è appena uscito con una copertina al cui confronto la famigerata “Pat ata bollente” di Vittorio Feltri su Libero diventa un’innocua goliardata. La sua foto è deturpata per trasformar­la in una vecchia megera: infatti la pagina Facebook del settimanal­e è subissata di commenti indignati, anche di storici lettori che mai hanno votato 5Stelle ma ora minacciano di farlo, per reazione. Se qualcuno avesse azzardato qualcosa di simile per una Boldrini, una Boschi, anche una Carfagna, avremmo le piazze invase di femministe, appelli del MeToo, raffiche di denunce per sessismo, mobilitazi­oni della Federazion­e e dell’Ordine, diktat del Garante. Invece tutti zitti: contro la Raggi si può tutto. Il mostro in copertina serve a riempire il vuoto pneumatico di contenuti: quelli delle “frasi choc” della sindaca registrate di nascosto da quel gentiluomo dell’ex presidente Ama Lorenzo Bagnacani, che girava col registrato­re in tasca per incastrarl­a con qualche voce dal sen fuggita. E invece, partito per suonare, è finito suonato. Le “frasi choc” che gli diceva la sindaca in privato sono le stesse che pronuncia pubblicame­nte da mesi in interviste, dichiarazi­oni, discorsi in Consiglio comunale. E che gli stessi giornali che ora menano scandalo riferivano puntualmen­te nelle cronache dal Campidogli­o. Il 12 febbraio, tre mesi prima che uscissero gli audio, il Messaggero titolava: “Paralisi Ama, il Cda non arretra. Raggi: ‘Così si va in tribunale’. Scontro aperto, la sindaca a Bagnacani: ‘Devi cambiare subito i conti del 2017’”.

Il

Corriere, il 19 febbraio: “Raggi caccia cda Ama e Bagnacani: ‘Carenti e sleali’. Un elenco di accuse: ‘Tradito anche il rapporto di fiducia’. Si parla anche del flop della differenzi­ata”. E Repubblica, stesso giorno: “Rifiuti, Raggi ammette lo sfascio: ‘Livelli critici, via il vertice Ama’. Il Comune non vuole riconoscer­e gli ormai famigerati 18 milioni di crediti per servizi cimiterial­i svolti tra il 2008 e il 2016 e richiesti da Ama”. Ora nelle “frasi choc” carpite da Bagnacani e finite alla Procura e al l’E spr ess o, la Raggi dice le stesse cose: raccolta rifiuti “fuori controllo” in “alcune zone”, bilancio inapprovab­ile per quei 18 milioni di crediti fantasma. Proviamo a immaginare se un qualunque sindaco o politico venisse intercetta­to da un manager pubblico: quanti sarebbero quelli che si preoccupan­o dei problemi dei cittadini e chiedono a di risolverli, stilare bilanci veritieri, non premiare amministra­tori inefficien­ti, e quelli che invece chiedono favori per sé, posti per parenti e amici, mazzette o finanziame­nti elettorali? Eppure il non-scandalo Raggi viene usato dalla stampa per pareggiare e oscurare l’indagine per corruzione sul leghista Siri e il faccendier­e Arata, legato a un complice di Messina Denaro, supportand­o l’assalto di Salvini al Campidogli­o. Per fortuna chi ancora ha voglia di informarsi non ha l’anello al naso: quando vede la copertina mostrifica­nte e legge le “frasi choc” della Raggi, capisce bene il gioco sporco. Del resto, di ciò che dice e fa in privato la Raggi, sappiamo tutto: pur non essendo mai stata intercetta­ta dai pm, ha dovuto render conto delle chat con i suoi collaborat­ori, da Marra in giù, a cui sono stati sequestrat­i i cellulari. Migliaia di conversazi­oni private finite sui giornali, da cui non è uscita una parola diversa da ciò che ha sempre detto in pubblico. Tant’è che, per sputtanare lei e Di Maio su Marra, il trio Repubblica-Corriere-Messaggero dovette taroccare le chat col taglia e cuci.

Il “metodo Raggi” (infinitame­nte più grave del “metodo Bof fo” feltriano, che almeno partiva da un fatto vero: una sentenza per molestie) toccò il punto più basso e comico col “caso Spelacchio”: centinaia di titoli, mai visti per la trattativa Stato-mafia, sull’albero di Natale del Comune. Doveva diventare il simbolo del malgoverno di Roma (altro che Mafia Capitale, altro che 14 miliardi di debiti creati dai sindaci “capaci”), invece fu un altro boomerang: un’ondata di simpatia per l’abete sfigato e per chi l’aveva messo lì. Fu allora che ci sorse un sospetto: che i giornaloni li paghi la Raggi per nascondere le sue vere colpe. Ora, dopo la canea sullo “s co op ” dell’Espresso e la prima pagina pasquale di R epubbli ca su “Raggi indagata per lo stadio” (per la denuncia di un ex 5S, una delle 600 subite in 3 anni, che l’accusa di abuso d’ufficio per il mancato voto del Consiglio comunale sullo stadio, regolarmen­te previsto per l’estate dopo lo stop seguito all’inchiesta Parnasi), il sospetto diventa certezza: il mandante delle campagne anti-Raggi è la Raggi. Ancora qualche piccolo sforzo e i giornaloni potrebbero riuscire in un’impresa disperata persino per lei: farla rieleggere.

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