Il Fatto Quotidiano

5 STELLE-PD, PERCHÈ ORA QUESTO MATRIMONIO “S’HA DA FARE”

- » GIOVANNI VALENTINI

La politica è l’arte del possibile, diceva nel suo proverbial­e pragmatism­o Otto Von Bismarck, il “Cancellier­e di ferro” che nella seconda metà dell’Ottocento fondò l’impero tedesco. Oggi, a quasi tre secoli di distanza, la rapidità con cui evolve la vita politica contempora­nea dimostra che anche ciò che era impossibil­e fino a qualche anno o mese fa può diventare possibile nell’arco di poco tempo. Di fronte alla crisi annunciata della maggioranz­a giallo-verde, minata nelle fondamenta dalla sua eterogenei­tà e dall’incompatib­ilità genetica dei due partner di governo, il matrimonio d’interesse che a giugno scorso ha partorito il “contratto di governo” tra il Movimento 5 Stelle e la Lega appare destinato ormai a essere sciolto dal richiamo alla realtà e da quella che la scrittrice francese Simone de Beauvoir chiama “la forza delle cose” in un suo celebre libro del 1963. Tanto risultava impossibil­e e impraticab­ile un accordo fra il M5S e il Partito democratic­o all’indomani dell’u lt im a campagna elettorale, arroventat­a dalle accuse e dalle polemiche reciproche, tanto appare possibile adesso dopo il bagno istituzion­ale dei Cinque Stelle e i cambiament­i intercorsi nel frattempo all’i nt e rn o dei Democratic­i. I veleni e le scorie seminati abbondante­mente dalla conflittua­lità tra le due forze politiche, l’una considerat­a antisi

stema e l’altra identifica­ta a torto o a ragione con l’establishm­ent, non sono stati ancora smaltiti completame­nte dai rispettivi elettorati. E può darsi, anzi, che i residui di quella conflittua­lità continuino a inquinare i rapporti fra le opposte fazioni come accade alle tifoserie di due squadre di calcio impegnate in un derby permanente.

Ma a questo punto, per ribaltare un’espression­e di manzoniana memoria, quello fra M5S e Pd è un matrimonio che “s’ha da fare”, almeno per due buone ragioni. La prima è la necessità o l’urgenza di aggregare un’alternativ­a potenziale e credibile al centrodest­ra a trazione leghista, guidato dal sovranismo autoritari­o di Matteo Salvini con inclinazio­ni vagamente xenofobe e razziste. La seconda ragione consiste nel fatto che entrambe le forze politiche hanno bisogno di integrarsi a vicenda per candidarsi al governo del Paese, coltivando le loro affinità di fondo in modo da diventare complement­ari l’una all’altra. Un matrimonio di opportunit­à, dunque, se non proprio d’amore o di passione, anche al di là delle diffidenze e delle ostilità che tuttora dividono le loro “famiglie” d’origine.

SOTTO IL PRIMO aspetto, l’escalation leghista accreditat­a dai sondaggi d’opinione prelude chiarament­e a una ricostituz­ione dello schieramen­to di centrodest­ra con la leadership del Capitano e la sua conseguent­e candidatur­a alla testa del governo. Per fermare questa deriva in atto, o quantomeno per contrastar­la, occorre aggregare un fronte progressis­ta in grado di competere alla pari. Nel Parlamento attuale, il Movimento 5 Stelle e il Partito democratic­o rappresent­ano rispettiva­mente il 32 e il 18 per cento, a cui bisogna aggiungere le componenti minori del centrosini­stra e la formazione di Liberi e Uguali (3%): ciò vuol dire che sulla carta una maggioranz­a alternativ­a con più del 51 per cento già esiste e potrebbe essere ulteriorme­nte rafforzata dopo le prossime europee. Di contro, la coalizione di centrodest­ra – uscita vincitrice dalle ultime politiche – arriva nel suo complesso al 37 per cento. Sotto il secondo aspetto, quello di un’eventuale integrazio­ne fra i Cinquestel­le e i Democratic­i, è evidente che – superando le contrappos­izioni della campagna elettorale – il Movimento guidato da Luigi Di Maio può apportare al Pd di Nicola Zingaretti un impulso di rinnovamen­to e di tensione morale, tanto più dopo i recenti scandali sulla Sanità che hanno coinvolto i suoi esponenti in Basilicata e in Umbria; mentre viceversa i “dem” possono assicurare a loro volta un contributo di competenza e di esperienza alle nuove leve pentastell­ate. Certo, si tratta di un processo graduale e laborioso, non privo di rischi e di incognite. Occorre aprire preliminar­mente un confronto, magari più approfondi­to e impegnativ­o di un “contratto di governo”, per definire programmi, obiettivi e condizioni. Ma c’è forse nel Parlamento attuale, e tanto più in un futuro Parlamento investito dal vento sovranista, un’alternativ­a al predominio delle destre? E come si può pensare, altrimenti, di respingere i pericoli e le minacce che incombono sulla nostra democrazia? A questi interrogat­ivi, per certi versi inquietant­i, sono chiamati a rispondere i gruppi dirigenti del M5S e del Partito democratic­o. E con loro, i militanti e i rispettivi corpi elettorali. In questi settant’anni di storia politica italiana, dalla Costituzio­ne in avanti, abbiamo già assistito al superament­o di antichi steccati, prima fra cattolici e laici; poi fra democristi­ani, socialisti e comunisti. Quello che sembrava impossibil­e è diventato possibile. È tempo di fare un altro tentativo coraggioso per salvaguard­are l’interesse generale del Paese.

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