5 STELLE-PD, PERCHÈ ORA QUESTO MATRIMONIO “S’HA DA FARE”
La politica è l’arte del possibile, diceva nel suo proverbiale pragmatismo Otto Von Bismarck, il “Cancelliere di ferro” che nella seconda metà dell’Ottocento fondò l’impero tedesco. Oggi, a quasi tre secoli di distanza, la rapidità con cui evolve la vita politica contemporanea dimostra che anche ciò che era impossibile fino a qualche anno o mese fa può diventare possibile nell’arco di poco tempo. Di fronte alla crisi annunciata della maggioranza giallo-verde, minata nelle fondamenta dalla sua eterogeneità e dall’incompatibilità genetica dei due partner di governo, il matrimonio d’interesse che a giugno scorso ha partorito il “contratto di governo” tra il Movimento 5 Stelle e la Lega appare destinato ormai a essere sciolto dal richiamo alla realtà e da quella che la scrittrice francese Simone de Beauvoir chiama “la forza delle cose” in un suo celebre libro del 1963. Tanto risultava impossibile e impraticabile un accordo fra il M5S e il Partito democratico all’indomani dell’u lt im a campagna elettorale, arroventata dalle accuse e dalle polemiche reciproche, tanto appare possibile adesso dopo il bagno istituzionale dei Cinque Stelle e i cambiamenti intercorsi nel frattempo all’i nt e rn o dei Democratici. I veleni e le scorie seminati abbondantemente dalla conflittualità tra le due forze politiche, l’una considerata antisi
stema e l’altra identificata a torto o a ragione con l’establishment, non sono stati ancora smaltiti completamente dai rispettivi elettorati. E può darsi, anzi, che i residui di quella conflittualità continuino a inquinare i rapporti fra le opposte fazioni come accade alle tifoserie di due squadre di calcio impegnate in un derby permanente.
Ma a questo punto, per ribaltare un’espressione di manzoniana memoria, quello fra M5S e Pd è un matrimonio che “s’ha da fare”, almeno per due buone ragioni. La prima è la necessità o l’urgenza di aggregare un’alternativa potenziale e credibile al centrodestra a trazione leghista, guidato dal sovranismo autoritario di Matteo Salvini con inclinazioni vagamente xenofobe e razziste. La seconda ragione consiste nel fatto che entrambe le forze politiche hanno bisogno di integrarsi a vicenda per candidarsi al governo del Paese, coltivando le loro affinità di fondo in modo da diventare complementari l’una all’altra. Un matrimonio di opportunità, dunque, se non proprio d’amore o di passione, anche al di là delle diffidenze e delle ostilità che tuttora dividono le loro “famiglie” d’origine.
SOTTO IL PRIMO aspetto, l’escalation leghista accreditata dai sondaggi d’opinione prelude chiaramente a una ricostituzione dello schieramento di centrodestra con la leadership del Capitano e la sua conseguente candidatura alla testa del governo. Per fermare questa deriva in atto, o quantomeno per contrastarla, occorre aggregare un fronte progressista in grado di competere alla pari. Nel Parlamento attuale, il Movimento 5 Stelle e il Partito democratico rappresentano rispettivamente il 32 e il 18 per cento, a cui bisogna aggiungere le componenti minori del centrosinistra e la formazione di Liberi e Uguali (3%): ciò vuol dire che sulla carta una maggioranza alternativa con più del 51 per cento già esiste e potrebbe essere ulteriormente rafforzata dopo le prossime europee. Di contro, la coalizione di centrodestra – uscita vincitrice dalle ultime politiche – arriva nel suo complesso al 37 per cento. Sotto il secondo aspetto, quello di un’eventuale integrazione fra i Cinquestelle e i Democratici, è evidente che – superando le contrapposizioni della campagna elettorale – il Movimento guidato da Luigi Di Maio può apportare al Pd di Nicola Zingaretti un impulso di rinnovamento e di tensione morale, tanto più dopo i recenti scandali sulla Sanità che hanno coinvolto i suoi esponenti in Basilicata e in Umbria; mentre viceversa i “dem” possono assicurare a loro volta un contributo di competenza e di esperienza alle nuove leve pentastellate. Certo, si tratta di un processo graduale e laborioso, non privo di rischi e di incognite. Occorre aprire preliminarmente un confronto, magari più approfondito e impegnativo di un “contratto di governo”, per definire programmi, obiettivi e condizioni. Ma c’è forse nel Parlamento attuale, e tanto più in un futuro Parlamento investito dal vento sovranista, un’alternativa al predominio delle destre? E come si può pensare, altrimenti, di respingere i pericoli e le minacce che incombono sulla nostra democrazia? A questi interrogativi, per certi versi inquietanti, sono chiamati a rispondere i gruppi dirigenti del M5S e del Partito democratico. E con loro, i militanti e i rispettivi corpi elettorali. In questi settant’anni di storia politica italiana, dalla Costituzione in avanti, abbiamo già assistito al superamento di antichi steccati, prima fra cattolici e laici; poi fra democristiani, socialisti e comunisti. Quello che sembrava impossibile è diventato possibile. È tempo di fare un altro tentativo coraggioso per salvaguardare l’interesse generale del Paese.