Il custode-vietcong di Palazzo Vidoni: “Non me ne vado”
Nel 2003 arriva la videosorveglianza, lui non serve più. “Basta dispetti, voglio un altro alloggio”
Al primo piano del ministero per la Pubblica amministrazione c’è un appartamento con sala ricevimenti e terrazza destinato al ministro di turno: fatto costruire da Franco Frattini, Renato Brunetta lo utilizzava per i poco istituzionali pisolini pomeridiani, mentre Luigi Nicolais, nominato da Prodi nel 2006, vi si trasferì insieme alla moglie. Salendo tre rampe di scale si trova un altro appartamento. E, se gli inquilini del piano di sotto vanno e vengono, questo è abitato dalle stesse persone da 38 anni: nel frattempo si sono avvicendati 23 ministri e il dicastero ha cambiato nome undici volte. Questa storia di burocrazia tra Kafka e Checco Zalone si svolge al quarto piano del rinascimentale Palazzo Vidoni – il progetto è attribuito a Raffaello –, a pochi passi da Largo di Torre Argentina, a Roma. L’appartamento di 70 metri quadri (più un centinaio di terrazza) da quindici anni è al centro di una contesa giuridica tra il ministero e Dario Gentili, l’ex custode che, stando alle sentenze, lo occupa abusivamente insieme alla compagna (un’agente di polizia!) e il figlio di lei.
Lo “sfratto”, i ricorsi e 280mila euro di debito
Nel ‘78 la Presidenza del Consiglio adibisce il Palazzo a sede del dipartimento della Funzione Pubblica. Tre anni dopo a Gentili viene assegnato il servizio di custodia e portierato dello stabile che gli dà diritto a un appartamento. Gentili racconta il resto della storia estraendo da una borsa con il disegno di Minnie una sentenza dopo l’altra. I problemi tra il ministero e il suo custode nascono nel 2003 quando viene installato un sistema di videosorveglianza e arrivano una ventina di agenti di Polizia a sorvegliare, su tre turni, il palazzo. Due anni dopo, l’amministrazione decide che un custode non serve più e comunica a Gentili il ricollocamento al centralino. L’appartamento, intima il ministero, dovrà essere svuotato entro 180 giorni. Ne sono passati 5mila. Il Tar accoglie infatti il ricorso di Gentili: il custode “non ha mai ricevuto alcuna comunicazione dell’avvio del procedimento per la revoca dell’incarico di custodia e portierato (…) per consentirgli di presentare osservazioni e documenti ad illustrazione e sostegno della propria posizione”. Continua il Tar: il custode serve ancora perché, in base alle norme antiterrorismo, i venti agenti di guardia non possono essere distolti dai propri compiti per occuparsi di finestre e riscaldamenti.
Gentili rimette i panni di custode e anche l’a pp a rt amento, da cui invero non se n’era mai andato, torna legalmente a sua disposizione. Storia terminata? Neanche per idea, perché anche la Presidenza del Consiglio ricorre e, nel 2010, il Consiglio di Stato ribalta la decisione del Tar. Gentili scopre di essere un abusivo e il Demanio gli presenta il conto: 106mila euro da pagare per i 5 anni di quella che, retroattivamente, è diventata un’occupazione senza titolo. Nel frattempo però Gentili è andato in pensione. La sentenza sfavorevole, che considera un torto, lo spinge a incaponirsi: decide di restare nell’appartamento finché lo Stato non rinuncerà alle indennità arretrate. Nel frattempo arriva anche una raccomandata: entro 30 giorni “il funzionario delegato procederà a dare esecuzione alla sentenza di sfratto con l’assistenza della forza pubblica”. Data: 15 ottobre 2013. L’i ngiunzione rimane lettera morta mentre va avanti la guerra a colpi di carte bollate: tocca ancora al Tar che dichiara illegittima la richiesta degli affitti arretrati ma ribadisce che Gentili e famiglia devono lasciare l’a pp a rt amento. Anche stavolta però la sentenza non viene applicata: la Presidenza del Consiglio, invece di riprendere possesso dell’appartamento, ricorre al Consiglio di Stato. Gentili e famiglia continuano a entrare nel palazzo strisciando un badge ai tornelli mentre il loro debito sale a 280mila euro. Nel frattempo ci sono stati un paio di tentativi di sfratto bloccati dai malori dell’inquilino. L’ultimo è iniziato, “senza ulteriore indugio” spiega con involontaria comicità il ministero, ad agosto scorso: Gentili si è difeso come può – evitando di ritirare la raccomandata di sfratto – ma la notifica è arrivata due settimane fa tramite un messo comunale. Stavolta lo sfratto è previsto con “assistenza della forza pubblica” entro 30 giorni.
“Mi difendo con le unghie, trattatemi come l’altro”
L’inquilino non si dà pace: “Io lo so che c’ho torto, ma mi sono abbarbicato con le unghie e coi denti perché m’hanno chiesto 106mila euro e non ne avevano diritto. Io non chiedo la luna nel pozzo, solo un alloggio come a quell’ altro ”.“Quell’ altro” è l’ex custode che, una volta andato in pensione, ha ottenuto un appartamentino in periferia. Gratificazioni da Prima repubblica, quella da cui Gentili non si è mai staccato e che gli fa brillare gli occhi quando racconta: “Andreotti lo conoscevo e con Remo Gaspari avevo addirittura confidenza”. Ma qualcosa di quei tempi sopravvive anche nel ministero cui, come si legge nel sito, è affidato “il rafforzamento della capacità amministrativa dello Stato” che in sei anni non è stato in grado di rendere esecutivo uno sfratto ma, si lamenta Gentili, “fa dispetti da borga taro” al suo inquilino non autorizzato: raccomandate non recapitate, il citofono che non viene riparato, il divieto di parcheggiare la bici nel cortile interno. “Me stanno a fa’ lo stillicidio”, commenta Gentili mentre ripiega le sentenze nella borsa di Minnie. Arrivati sotto casa, indica verso alto: “Quello è il mio terrazzo: vedesse che belle piante c’ho messo”.
Prima Repubblica
Il signor Gentili: “Conoscevo Andreotti, con Remo Gaspari avevo pure confidenza”