Il Fatto Quotidiano

“I trapper? Pure il mio salumiere allora sa cantare”

IL COLLOQUIO Il cantautore si autoproduc­e: “Non voglio padroni”

- » DANIELE SANZONE

a mia musica è biologica, coltivata in modo naturale, senza concimi chimici. E se viene un poco storta non me ne fotto”. Così descrive la propria musica Enzo Gragnaniel­lo, che il 26 aprile prossimo torna con un nuovo album, Lo chiamavano vient’ ‘e terra (Arealive, 2019). “Era il nome con cui mi chiamavano da bambino – spiega il cantautore napoletano – quando per i vicoli di Napoli, con i miei amici, correvamo come il vento buttando a terra tutto ciò che trovavano sulla nostra strada”. La canzone che dà il nome al disco è la più autobiogra­fica che Gragnaniel­lo abbia mai scritto. Per la prima volta l’artista napoletano racconta di quando a 15 anni scappò a Milano, vivendo per strada. La stessa strada che lo porterà in galera per aver rubato un’auto, fino all’incontro con la chitarra e il suo primo amore, Rosetta. Una musica che potremmo definire quasi religiosa, sciamanica, per l’approccio spirituale e la sua inconfondi­bile voce: una sorta di preghiera laica, un balsamo per le sofferenze. Dodici canzoni tra cui due in lingua italiana, “Cara”, dove dialoga con il trombone di Michele Jamil Marzella, e “Ancora in me”, in cui il sapore della classica napoletana rivive nel mondo popolare e rock, grazie anche alla mandolina di Piero Gallo, che caratteriz­za il suono scarno ed essenziale del cantautore sciamano. L’ennesimo disco autoprodot­to. “Sì, ho bisogno di sentirmi libero da tutti e da tutto – continua il cantautore – per realizzare esattament­e ciò che ho in testa”. Enzo Gragnaniel­lo è un artigiano delle parole, le cerca, le modella per poi sussurrarl­e come in “Mmano ‘o tiempo”, il brano che apre l’album e, “Si tu me cunusciss’”, canzoni in cui le melodie sono pennellate blues. “Nun c’è bisogno” è una moderna filastrocc­a popolare che ci ricorda l’importanza del sentimento. Poi c’è “Povero munno”, già cantata dall’amico sassofonis­ta, James Senese. Nel brano “Gli uomini ego”, invece, racconta di come l’io sia capace di creare l’illusione di farti sentire più furbo degli altri. “Questo accade quando non siamo connessi con la parte più vera di noi stessi, l’anima”, spiega Gragnaniel­lo. Per il cantautore napoletano è tutto legato, anche “‘A deli nq ue nz a” è un’i ll us io ne della materialit­à, “Non tiene speranza, sta dentro la mise

“GLI UOMINI EGO”

Ci sentiamo i più furbi? “Questo accade quando non siamo connessi con la parte più vera di noi stessi: l’anima”

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