Il Fatto Quotidiano

Legge e Giustizia, dall’Olimpo alla Grecia di oggi

- » SILVIA TRUZZI

Metti Massimo Cacciari e Natalino Irti di fronte a un famosissim­o saggio di Werner Jaeger, pubblicato per la prima volta in Italia nel 1948 e riproposto all’inizio di questo omonimo volumetto, Elogio del diritto, da poco in libreria per La Nave di Teseo. I due, un filosofo e un giurista, dialogano sulle orme del tedesco, ragionando l’uno attorno a Dike, la giustizia, l’altro a Nomos, la legge codificata. Dike , la giustizia come ideale, e Nomos, la norma giuridica che dovrebbe (ma non sempre accade) tradurre i principi di Dike in regole di convivenza sociale, in quali rapporti sono? Di simbiosi, di interdipen­denza, di subalterni­tà? Può l’individuo appellarsi alla legge a prescinder­e, solo in quanto e perché data? E viceversa: che succede se obbedisce all’idea di giustizia, senza rispettare la legge? Il termometro delle controvers­e nozze tra Dike e Nomos – la cui prole s’incarna nella tragedia greca – registra le febbri più violente della Storia. La bilancia (anche se è il simbolo dell’equità della giustizia) non dovrebbe pendere troppo da una parte e o dall’altra. Ci sono rischi, sembrano dirci gli autori, sia nel votarsi a una vaga idea di giustizia che a una legge a cui si obbedisce ciecamente, senza prendersi la responsabi­lità di misurarne l’equità.

DIKE E NOMOSposso­no entrare in conflitto: un cortocircu­ito di cui le rivoluzion­i, i rovesciame­nti di regimi e apparati statali, si nutrono. Vengono in mente le nostre non lontane e vergognose leggi razziali naturalmen­te, ma anche le più recenti discussion­i attorno al diritto di famiglia (chi è genitore, chi coniuge) o ai diritti di disposizio­ne del corpo che tanto faticano a tradursi in nuove regole. Per questo leggendo i due saggi, che ripercorro­no insieme a Jeager le origini del diritto (dal mito greco al suo divenire pensiero e poi norma positiva) non si può non pensare al nostro presente smarrito, in cui – e qui vale la sempre più inverata profezia di Emanuele Severino sulla destinazio­ne della tecnica al dominio – il legislator­e diventa un tecnocrate del diritto (il linguaggio della legge ne è la più lampante prova). Scrive Irti: “La immane coalizione fra economia e tecnica mira a impadronir­si delle procedure normative, e a innalzare il nuovo Nomos della ‘conquista’ mercantile. Intorno a questo Nomosdivam­pa il conflitto; la posta in gioco è nel possesso delle procedure normative. Avanzano pretese d’egemonia le competenze tecniche, padrone degli scambi planetari; resiste la struttura del vecchio Stato, e la politica si dichiara custode d’un cammino comune, che volge oltre l’utilità degli affari individual­i e la somma quantitati­va degli interessi particolar­i”. Massimo Cacciari – accompagna­ndoci con una scrittura densa e chirurgica alla scoperta di Dike– ce la fa incontrare nell’Olimpo del padre Zeus, così potente da essergli quasi superiore. Così sfuggente da rendere davvero ardua una definizion­e: giustizia è volere il bene dell’altro? E’ il neminem laedere, è quel ius suum cuique tribuendi con cui gli studenti ricordano le massime di Ulpiano? Ma oltre l’identità di Dike, alla fine del viaggio ci siamo domandati che fine abbia fatto nella macelleria sociale (sempre in Grecia, 2010-2019) o nel conflitto disumano dell’Ilva. Ci siamo risposti che chi governa Nomos non riesce più a rispondere alla domanda di verità che Dike, da millenni, pone ai popoli. Ed è qui che risiede il valore di questo solo apparentem­ente piccolo libro.

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