“FCA ANDÒ ALL’ESTERO E NON PAGÒ AL FISCO 1 MILIARDO E MEZZO”
NEL TRASLOCO DA TORINO IN OLANDA E REGNO UNITO, IL TRUCCO PER ABBATTERE L’IMPONIBILE. LA DIFESA: “LA NOSTRA VALUTAZIONE ERA GIUSTA”
Proprio mentre è impegnata nelle complesse trattative con i francesi di Psa per una possibile fusione, su Fiat Chrysler continuano a piovere pietre. Dopo la denuncia negli Usa da parte di Gm dei giorni scorsi sull’ipotesi di corruzione di dirigenti sindacali di Uaw per ottenere vantaggi competitivi, respinta con forza da John Elkann, adesso arriva l’Agenzia delle Entrate. Per il Fisco Fiat Chrysler Automobiles Nv, la capogruppo olandese, ha sottovalutato il valore delle attività di Chrysler per 5,1 miliardi di euro per ridurre l’imponibile al momento del trasferimento da Torino della sede legale in Olanda e di quella fiscale nel Regno Unito. È scattato così un accertamento, come rivelato dall’agenzia di informazioni internazionali Bloomberg, che ha visionato documenti dell’azienda e una relazione datata 22 ottobre.
A FINIRE SOTTO LA LENTE è la struttura societaria creata a ottobre 2014 dopo l’acquisto di Chrysler da parte di Fiat. In quell’anno Fiat acquistò la quota restante del 41,5% di Chrysler per 4,35 miliardi, per una valutazione complessiva di circa 6,95 miliardi di euro dell’intera società Usa. Il trasferimento all’estero della sede ha fatto scattare l’imposta che l’Italia riscuote sulle plusvalenze realizzate quando le società trasferiscono le proprie attività fuori del Paese. Al momento dell’operazione, Fiat Chrysler aveva dichiarato di prevedere l’attivazione della tassa di uscita sulle plusvalenze, ma aveva affermato che poteva “essere ampiamente compensata dalle perdite fiscali disponibili per il gruppo”. Ma riducendo il valore degli asset trasferiti all’estero e delle relative plusvalenze, secondo il Fisco, Fca ridusse anche la base imponibile. La differenza tra la valutazione dell’Agenzia delle Entrate e quella di Fiat su Chrysler è enorme: il Fisco italiano la valuta circa 12,5 miliardi, mentre per la Fiat valeva meno di 7,5 miliardi. All’epoca, l’Italia aveva un’aliquota dell’imposta sulle società Ires del 27,5% circa. Sulla base di questa percentuale, applicandola a una base imponibile aggiuntiva di 5,07 miliardi,
Bloomberg stima che Fca potrebbe dover versare all’incirca 1,4 miliardi. Dal canto suo, Fca respinge questa impostazione: “Siamo fortemente in disaccordo con questa relazione preliminare e siamo certi che riusciremo a sostenere con successo una riduzione sostanziale della valutazione”, ha scritto un portavoce a Bloomberg.
La società, inoltre, sostiene che la propria posizione è “pienamente supportato sia dai fatti che dalla normativa fiscale applicabile e difenderà con forza la sua posizione”. Inoltre per Fca “qualsiasi aumento dell’imponibile sarebbe compensato dal riporto delle perdite fiscali, che eviterebbe ogni uscita di cassa o impatto sugli utili”. Una nota che lascia intendere che al termine dei negoziati col Fisco (che dovrebbero concludersi per fine anno) si potrebbe arrivare alla riduzione dell’importo da pagare. Il deposito degli atti visionati da Bloombergè datato 31 ottobre e ora Fca ha tempo 60 giorni per discuterne con il Fisco. In caso di mancato accordo, la questione potrebbe finire in tribunale.
LA VERIFICA FISCALE condotta dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di Fca si inserisce nel quadro di una campagna del Fisco italiano nei confronti delle grandi imprese. A maggio la multinazionale del lusso Kering ha transato con l’Agenzia delle Entrate per 1,25 miliardi sull’esterovestizione in Svizzera della controllata Gucci. Negli anni scorsi il Fisco italiano si è fatto pagare 318 milioni da Apple nel 2015, 306 da Google nel 2017, 100 da Amazon nello stesso anno, 100 da Facebook e 79 da Mediolanum l’anno scorso, mentre quest’anno ne ha incassati 102 da Ubs. A livello mondiale quella su Gucci è stata una delle maggiori transazioni fiscali, dopo i 3,1 miliardi di dollari pagati nel 2006 dal gigante farmaceutico Glaxo al fisco Usa sul transfer pricing dei farmaci.