Il rinvio tecnico del Mes per ora non basta ai 5S
Maio: “Niente firma senza accordo sulle banche”. E al Senato Italia viva blocca la manovra
I MINISTRI delle finanze dell’eurozona del 20 gennaio sistemeranno alcuni dettagli tecnicogiuridici, e poi sarà sancito con la firma dai leader europei entro marzo
Sulla
riforma del Mes, il vecchio fondo salva-Stati, la confusione è tale che ai 5Stelle serve una giornata per capire cosa Roberto Gualtieri abbia davvero strappato all’Eurogruppo di mercoledì a Bruxelles. In sostanza, non molto, e non sufficiente a sciogliere i nodi in vista della risoluzione di maggioranza che andrà votata il 10 dicembre, alla vigilia del Consiglio europeo.
LA LINEA la dà in serata Luigi Di Maio: “Ieri si è trovato un primo risultato, però è chiaro che non firmiamo niente fino a che nei dettagli non sono chiare anche le altre due riforme: assicurazione sui depositi e unione bancaria, su cui noi vogliamo vedere i dettagli. Non va bene - ha detto - dire che lo stand by lo facciamo sulla road map, come sento dire in Europa”. Insomma, bene il rinvio tecnico a gennaio, ma nulla più. E qui veniamo al punto: cosa ha ottenuto l’Italia? Il ministro dell’Economia aveva un mandato riassumibile così: via libera alla riforma, contestata da M5S e Leu in maggioranza e criticata da diversi commentatori - solo in cambio di un accordo chiaro per arrivare alla garanzia comune dei depositi bancari, l’ultimo pilastro dell’Unione bancaria che però la Germania e il blocco nordico vogliono concedere solo in cambio della fine della valutazione risk free per i titoli di Stato in pancia alle banche, che sarebbe un colpo mortale per gli istituti italiani e il nostro debito pubblico. Insomma, la “famosa logica di pacchetto” sbandierata da palazzo Chigi e chiesta da Di Maio.
SU QUESTO PIANO, Gualtieri ha ottenuto ben poco. La road map s ull ’ Unione bancaria è slittata sine die, perché – ha spiegato il presidente dell’Eurogruppo Mario Centeno – “non è ancora il momento politico per sostenerla”. Roma ha però dato il via libera di massima all’accordo, al vertice dei ministri delle finanze dell’eurozona del 20 gennaio solo perché vanno sistemati alcuni dettagli tecnico- giuridici, e poi sarà sancito con la firma dai leader europei entro marzo. Roma porta a casa alcune modifiche che riguardano gli addendumdella riforma. Il primo è la cosiddetta sub aggregazionedelle nuova Cacs, le clausole che servono a gestire il default del debito pubblico: in sostanza, viene consentita una maggiore discrezionalità per escludere alcune tipologie di emissioni per tutelare i piccoli risparmiatori. Secondo Gualtieri, su richiesta dell’Italia, sono state evitate anche le condizionalità nel caso il Mes venga utilizzato per finanziare il “fondo di risoluzione Ue” delle crisi bancarie. Secondo Gualtieri è stata anche eliminata la proposta tedesca sui titoli di Stato nelle banche, ma la certezza si avrà solo con la road map definita. E quella manca.
Il rinvio a gennaio permette ai 5Stelle di placare l’ala più intransigente ma - se Di Maio terrà il punto - non è sufficiente a dare l’ok a Conte per firmare. Il giorno dopo la votazione della risoluzione, il premier volerà a Bruxelles per il
Consiglio Ue che discuterà della riforma, il cui testo però è chiuso. Ieri, dopo diverse riunioni tra vertici e parlamentari, M5S escludeva solo la possibilità che fosse presentata una risoluzione separata dal resto degli alleati. Sarebbe il preludio alla caduta del governo.
L’accordo
NON È L’UNICO fronte interno aperto. Al Senato, Italia Viva di Renzi ha deciso di impallinare la manovra. Il maxi emendamento governativo depositato mercoledì riduce drasticamente la plastic tax e la tassa sulle auto aziendali (rinviata a luglio 2020). I renziani vogliono l’abolizione totale, anche della sugar tax. Ieri si sono rifiutati di ritirare i loro emendamenti, bloccando i lavori: tre ore di riunione a Palazzo Chigi con Conte non sono bastate a piegare la resistenza. Se ne riparla oggi.