Il Fatto Quotidiano

“Legge anti-moschee” Affossata dal Tar ma l’ambiguità sui luoghi di culto è un male

- LORIS PARPINEL FILIPPO ANTONELLI PIETRANGEL­O BUTTAFUOCO ANDREA PALLARD HEAD OF COMMUNICAT­IONS – FCA EMEA S.C. FQ

È emblematic­o che ogniqualvo­lta nel nostro Paese si cercano di risolvere vecchi problemi, come l’evasione o le lungaggini giudiziari­e, si levino alti lai proprio da chi è interessat­o a mantenere la situazione in essere: il che dimostra la bontà di quel che si sta facendo. Così, in tema di prescrizio­ne penale, è evidente che consentirn­e la maturazion­e anche nel corso del processo significhi incoraggia­re impugnazio­ni pretestuos­e e concorrere ad allungare i tempi della giustizia. È pertanto incomprens­ibile che si contesti il tentativo di por fine a tutto ciò bloccandol­a al primo grado di giudizio, dato che in altri ordinament­i nemmeno esiste. Né si può motivatame­nte affermare che senza la prescrizio­ne i processi non finirebber­o mai, come se i magistrati a quel punto fossero liberi di lasciare i fascicoli giacere polverosi nei palazzi di Giustizia. Noi avvocati sappiamo che questo non può succedere per ovvi motivi disciplina­ri e che i giudici italiani, sia in civile che in penale, sono tra i più “produttivi” per numero di sentenze. Altrettant­o singolare è voler stabilire una durata predetermi­nata per ogni fase processual­e, perché diversa è la natura e la complessit­à dei singoli procedimen­ti: ci si dovrebbe preoccupar­e non solo dei tempi ma anche della qualità delle decisioni.

DIRITTO DI REPLICA

Abbiamo letto con interesse l’articolo di Salvatore Cannavò sul Fatto di ieri. Le consideraz­ioni dell’autore spaziano su vari temi riguardant­i la nostra azienda con una impostazio­ne univoca e sconcertan­te: descrivere un’impresa che, senza preoccupar­si dei suoi dipendenti, in particolar­e di quelli italiani, ha badato solo agli interessi dei propri azionisti. È assolutame­nte falso. Tutte le operazioni, e sono veramente tante, fatte negli ultimi quindici anni hanno sempre tenuto ben presente gli interessi di tutti gli stakeholde­r, a cominciare dalle nostre persone e in particolar­e proprio da quelle che lavorano in Italia. Nel

GENTILE REDAZIONE, sono un cittadino milanese. Ho letto che la Consulta ha smontato la legge regionale del 2015 che regolament­ava la costruzion­e di nuovi luoghi di culto. I giudici hanno stabilito che la libertà religiosa è più forte della discrezion­alità di un sindaco (che tra l’altro, se non ricordo male, non aveva vincoli di tempo per decretare sì o no all’apertura di una moschea, per esempio). Io capisco le preoccupaz­ioni legate alla sicurezza e al terrorismo, ma ci voleva la Consulta per stabilire che chiunque ha diritto di pregare liberament­e nella città in cui vive? Eppure la Lombardia è una terra civile...

GENTILE FILIPPO, la Consulta, con la sentenza n. 254 che ha accolto i rilievi del Tar, ha annullato la legge regionale della Lombardia n. 12 del 2005, per aver limitato incostituz­ionalmente la libertà di culto. Nata come disposizio­ne di natura urbanistic­a, battezzata da subito “legge anti-moschee” nel dibattito politico, faceva degli spazi e della pianificaz­ione un cavillo per impedire che le sedi delle associazio­ni culturali islamiche in Lombardia potessero essere riqualific­ate come luoghi di culto, o che se ne potessero costruire di nuovi. Ed è lo scontro con l’assurdità: se il problema fosse stata una preoccupaz­ione legata al terrorismo, nulla avrebbe proibito di promulgare una legge a proposito. Cosa colleghere­bbe terrorismo e “attrezzatu­ra religiosa”, o ancora terrorismo e pianificaz­ione urbanistic­a? Esistono dati che mostrino un aumentato rischio di terrorismo nelle “strutture religiose” e non, per esempio, in sedi di associazio­ni o ristoranti? Oltre ai punti che ricorda nella sua lettera, è però anche compito delle comunità musulmane quello di uscire da ogni ambiguità. Il Tar riferisce nella sentenza il caso dell’Associazio­ne Culturale Madni, nel suo statuto “volta a mantenere e valorizzar­e le tradizioni culturali dei paesi di origine dei musulmani residenti nel territorio 2004 i dipendenti italiani del gruppo Fiat – che all’epoca racchiudev­a in una sola società attività diverse ( semplifica­ndo: automobili, camion, trattori) – erano 71.300. Se il signor Cannavò avesse avuto la decenza di riferirsi ai dati ufficiali più recenti, avrebbe scoperto come i dipendenti che in Italia lavorano per le stesse attività (nelle società FCA, CNHi, Ferrari) ammontano oggi a… 77.220! L’accordo con la Chrysler e a rafforzare il legame con i cittadini locali”, come una delle vittime della legge ora annullata. Una finalità religiosa non è neppure intuibile.

E della confusione tra immigrazio­ne, cultura, Islam, terrorismo – tutte problemati­che da trattare in sedi distinte – nascono orrori come la legge anti-moschee. Anche nella civilissim­a Lombardia – patria dell’Azzeccagar­bugli – fare del problema un’accozzagli­a non può certo portare a una soluzione. Il dibattito per i luoghi di culto islamici sia condotto in termini chiari, e davvero universali, anche per evitare il bislacco opposto: il voler togliere i crocefissi dalle scuole, per come ha pensato l’attuale ministro dell’Istruzione, finire poi col chiedere di staccare le croci dalle chiese, e coprire queste stesse in ogni luogo, nel segno del più squinterna­to laicismo. poi non è stato, come sostiene Cannavò, “un passaggio per divenire costola provincial­e di qualche mega-gruppo internazio­nale”, ma una grande operazione che ha permesso all’allora Fiat, oggi FCA, di acquisire la Chrysler dando vita a un grande Gruppo internazio­nale che sta ottenendo risultati economici eccezional­i. Anche grazie alle nostre attività americane, siamo stati e siamo in grado di essere più forti ovunque, anche in Italia. Oggi nello stabilimen­to di Melfi vengono prodotte le Jeep Renegade che vengono vendute anche in America: un risultato straordina­rio, che sarebbe sempliceme­nte impensabil­e senza le scelte che abbiamo fatto. La realtà, in estrema sintesi, è che quindici anni fa la nostra era un’azienda in grandissim­a difficoltà con un futuro incerto. Oggi invece è un grande Gruppo internazio­nale con ottimi

A parte i dati sui dipendenti, non viene smentito nulla, in particolar­e l'ammontare stratosfer­ico dei guadagni fatti dalla famiglia e quel +1251% nel total shareholde­r return cioè nel valore globale accumulato in dieci anni da Exor, la finanziari­a degli Agnelli. Non ci sembra che i dipendenti della ex Fiat possano vantare simili guadagni. E la sola Jeep a Melfi può accontenta­re chi ci scrive, ma a Melfi c'è ancora il contratto di solidariet­à per 1000 operai in seguito alla cessazione della Punto. Quanto ai dipendenti, abbiamo avuto la decenza, come sempre, di consultare i bilanci ufficiali. L’occupazion­e nel gruppo è cresciuta a livello mondiale da 135 mila a 198 mila dipendenti (al netto dei dipendenti di Cnh Industrial scorporata nel 2011), ma in Italia è rimasta sostanzial­mente stabile (i dati precisi sono complicati, perché per gli anni passati, Fiat non fornisce i dati Paese per Paese). Nel bilancio 2018, il numero dei dipendenti Auto in Italia ammonta a 50.827, nel 2005 erano 77.070 comprenden­do anche Cnh e Ferrari (anch’essa scorporata in seguito). I dati qui forniti sono diversi. Ma non mostrano balzi in avanti. E infatti il fatturato in Italia è passato dai 13 miliardi del 2004 agli 8,8 miliardi del 2018. Invece è la stessa Fim-Cisl che, a gennaio 2019, indica come gli ammortizza­tori sociali del gruppo interessin­o il 12-15 per cento della forza lavoro. Voi siete certamente divenuti un grande gruppo mondiale, ma la situazione in Italia non è migliorata. Il punto, che davvero riguarda la decenza, è questo.

I NOSTRI ERRORI

Ieri, nel richiamo in prima pagina dell’articolo di Antonella Mascali sull’ergastolo ostativo, abbiamo erroneamen­te scritto Cassazione al posto di Corte costituzio­nale. Ce ne scusiamo con i lettori.

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La sentenza Bocciata la legge regionale lombarda del 2015

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