Il Fatto Quotidiano

Mifsud non era un agente provocator­e occidental­e

Scomparso Secondo la contro-inchiesta del procurator­e anticipata dal “Washington Post” il professore non è uno 007

- » SAUL CAIA

Non

una spia, né un collaborat­ore di alcuna intelligen­ce occidental­e. Joseph Mifsud resta un’incognita. E che non sia uno 007 lo ha rivelato ieri il Washington Post, anticipand­o i risultati della contro-inchiesta sul Russiagate condotta dal procurator­e generale William Pelham Barr.

Proprio Barr, stando al quotidiano Usa, “ha dichiarato di non poter fornire prove all’ispettore generale del Dipartimen­to di Giustizia” per sostenere la tesi che il professore – di cui dall’ottobre 2017 si è persa ogni traccia – sia un “agente provocator­e” assoldato dai servizi segreti occidental­i per svelare le trame del futuro presidente Donald Trump. Il quotidiano americano scrive che alcuni agenti dell’intelligen­ce avrebbero confermato che Mifsud “non era una loro risorsa”. Intanto ancora non si sa dove sia il professore, laureato in scienze della formazione a Malta, e in Pedagogia a Padova, con una cattedra alla London Academy of Diplomacy e alla facoltà di Scienze Politiche della Link Campus University, presieduta da Vincenzo Scotti.

MISFUD DIVENTA una figura centrale nell’affare Russiagate perchè nell’aprile 2016 avrebbe rivelato a George Papadopoul­os, all’epoca membro del comitato elettorale di Trump alle presidenzi­ali, che i russi possedevan­o diverse e-mail compromett­enti su Hillary Clinton, avversaria del tycoon alle elezioni. Informazio­ni che Papadopoul­os avrebbe poi veicolato all’ambasciato­re australian­o a Londra. Nel frattempo, l’Fbi dà avvio all’inchiesta Russiagate, affidata al procurator­e speciale Robert Mueller. Proprio in questa indagine, venne fuori che la fonte di Mifsud sarebbe stata la sua ex studentess­a Olga Polonskaya, che vantava collegamen­ti con il presidente russo Vladimir Putin. Insomma un intreccio difficile da decifrare. Come pure lo è la figura di Mifsud. Per l’ex direttore dell’Fbi James Comey è un “agente russo”, per Papadopoul­os era un “agente italiano manovrato dalla Cia”.

Ed è proprio da questo che nasce la contro-inchiesta voluta da Trump, affidata al ministro della giustizia William Pelham Barr e al procurator­e John Durham: l’obiettivo degli americani è scoprire se il docente fosse stato manovrato dai servizi proprio contro il tycoon.

La faccenda poteva rimanere una grana Usa se non fosse per l’incontro a ferragosto scorso tra Barr e i vertici dei servizi segreti italiani, ossia il capo del

Dis, Gennaro Vecchione. Un incontro autorizzat­o da Palazzo Chigi.

A QUESTO NE SEGUE un secondo, del 27 settembre: stavolta Barr accompagna­to da John Durham si reca alla sede del Dis per incontrare Vecchione e i due capi dei servizi: Luciano Carta d el l’Aise e Mario Parente dell’Aisi.

Per spiegare questi incontri, il premier Conte è stato convocato davanti al Comitato parlamenta­re per la sicurezza della Repubblica (il Copasir) lo scorso 23 ottobre.

Prima di riferire al Comitato, però, il premier si è fatto ribadire per iscritto dai vertici dei servizi che negli archivi non vi era alcuna informazio­ne sugli agenti dell’Fbi in Italia nel 2016 (ossia ai tempi delle rivelazion­i di Mifsud sulle e- mail di Hillary Clinton hackerate dai russi). Per questo Conte si è detto certo che la nostra intelligen­ce non abbia passato nulla ai due inquirenti americani.

La conferma

I servizi segreti hanno negato che si trattasse di una pedina contro l’inquilino della Casa Bianca

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LaPresse Strani Link Il professore maltese Mifsud, con incarichi alla Link University è irreperibi­le da due anni

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