Asterix, ovvero come preservare un monumento nel migliore dei modi
Il passare del tempo ha costretto molti editori – e lettori – a una scelta inevitabile: certi personaggi possono sopravvivere ai loro autori ed emanciparsi da chi li ha portati su carta? Quando le esigenze commerciali sono abbastanza forti, rispondere diventa ovvio. Asterix deve continuare. René Goscinny non c’è più da tanti anni, è morto nel 1977, il disegnatore Albert Uderzo che si è fatto carico del personaggio negli ultimi decenni ha ormai 92 anni. E allora i nuovi volumi vengono affidati a due autori di prima grandezza. Il 38mo episodio della saga degli irriducibili galli è scritto da Jean-Yves Ferri (sceneggiatore indimenticabile de Il ritorno alla
terra, con Manu Larcenet) e disegnato con una cura dei dettagli sopraffina da Didier Conrad. Asterix e la figlia di Vercingetorige è un fumetto a modo suo perfetto: le tavole sono impeccabili, la storia si muove su un crinale difficile, deve offrire ai fan esattamente quello che si aspettano da ogni albo di Asterix (i tormenti di Obelix, qualche soldato romano da malmenare nella foresta, la solita nave dei pirati destinata ad affondare) ma inserendo qualcosa di nuovo, combinando gli antichi ingredienti in una nuova pozione. Certe scelte narrative ricordano più l’umorismo da fumetto Disney italiano che l’epica scanzonata del primo Asterix: la figlia di Vercingetorige si chiama Adrenalina, ci sono anche le seconde generazioni del pescivendolo (Shushix) e del fabbro (Selfix), tutto un po’prevedibile. Ma la sceneggiatura di Ferri deve trovare il minimo comune denominatore fra tre generazioni, ormai, perché è difficile scrivere un fumetto che piaccia sia ai nonni, che ai figli e ai nipoti. Non gli si può certo chiedere di essere particolarmente innovativo – la frontiera della creatività si è spostata altrove – ma in questo particolare genere editoriale che è la preservazione dei monumenti fumettistici del secolo scorso, La figlia di Vercingetorige è sicuramente un prodotto riuscito.