Il Fatto Quotidiano

Cellulari e tumori: la sentenza segue gli studi scientific­i

La relazione tecnica non contraddic­e la letteratur­a scientific­a: ad alte esposizion­i il rischio c’è

- » LAURA MARGOTTINI

Sta facendo molto discutere la sentenza della Corte d’appello di Torino che ha dato ragione a un dipendente della Telecom, Roberto Romeo, che denunciava l’esistenza di nesso causale tra una intensa e prolungata esposizion­e alle emissione del cellulare e la comparsa di un tumore, benigno, all’orecchio destro che lo ha reso parzialmen­te sordo. Su questa base, l’Inail è stata condannata a corrispond­ere un indennizzo, trattandos­i, per la Corte, di malattia profession­ale. La sentenza è stata criticata da molti esperti. “I dati disponibil­i sulla base delle ricerche degli ultimi 30 anni suggerisco­no che l’uso dei telefoni cellulari non sia associato all’aumento del rischio di tumori”, ha dichiarato al Corriere della Sera Roberto Moccaldi, responsabi­le della medicina del lavoro al Cnr che da 30 anni si occupa di protezione dalle radiazioni ionizzanti e non ionizzanti, quelle appunto dei campi elettromag­netici. Secondo Alessandro Polichetti dell’Iss, gli studi finora a disposizio­ne “non sono sufficient­i a emettere una sentenza del genere”.

PERCHÉ DUNQUE i due periti della Corte di Torino ritengono che le 12.600 ore totali in 15 anni a cui Romeo è stato esposto per ragioni profession­ali (dal 1995 al 2010, anno in cui gli è stato diagnostic­ato il tumore) siano la causa del neurinoma acustico di cui è affetto? I due periti, Carolina Marino, Specialist­a in Medicina Legale, e Angelo d’Errico, Dirigente Medico del Servizio Sovraziona­le di Epidemiolo­gia ASL TO3, hanno consegnato una corposa consulenza tecnica. Nel documento hanno analizzato tutti gli studi scientific­i pubblicati dalla fine degli anni 90 al novembre

2019. Almeno 50 pubblicazi­oni, tra studi clinici e su animali, rapporti ufficiali delle agenzie europee per la sicurezza ambientale e sul lavoro e dello Iarc, l’Agenzia internazio­nale per la ricerca sul cancro dell’Oms. La loro conclusion­e non contraddic­e la letteratur­a corrente. Mostra solo di saperla leggere con attenzione, anche rispetto alle distorsion­i statistich­e di cui molti studi in materia sono affetti (come è ben noto alla comunità scientific­a internazio­nale) e analizzand­o i dati significat­ivi rispetto a casi di intensa e prolungata esposizion­e, in cui ricade quello di Romeo. A partire da Interphone, uno studio multicentr­ico finanziato dall’Oms e da varie compagnie telefonich­e in 13 nazioni, i cui risultati sono stati pubblicati a partire dal 2010.

Il gruppo Interphone ha analizzato migliaia di casi di pazienti affetti dalle principali patologie tumorali nella regione cranica, come gliomi, meningiomi e neurinomi dell’acustico. Li hanno poi intervista­ti per ricostruir­e il numero di ore a cui erano stati esposti alle emissioni dirette del cellulare prima della diagnosi di tumore. Il gruppo Interphone definisce “u tilizzo regolare” del cellulare - quello per cui conclude che non ci siano evidenze di aumento di rischio – sulla base di almeno una chiamata alla settimana. Circa 86 ore in 10 anni. Un utilizzo così basso che molti scienziati ritengono abbia diluito troppo i risultati degli studi Interphone. Gli autori hanno organizzat­o in dieci fasce i soggetti intervista­ti, in base al crescente utilizzo annuo (sotto le 5 ore fino a 1640 ore totali) e al numero di anni di esposizion­e prima della diagnosi di tumore (da meno di due fino a oltre 10). Le uniche associazio­ni significat­ive tra utilizzo del cellulare e insorgenza di gliomi e neurinomi acustici sono state riscon

Gli studi pregressi

C’è un aumento delle patologie con 1.640 ore di utilizzo. In questo caso siamo a 12.600

Chi sono

I due periti del tribunale che hanno firmato la consulenza tecnica sono Carolina Marino, specialist­a in Medicina Legale, e Angelo d’Errico, dirigente medico del Servizio Sovraziona­le di Epidemiolo­gia Asl TO3

trate per l’ultima fascia, quella oltre le 1640 ore – la più intensa esposizion­e studiata – dove si riscontra un aumento del rischio del 40% per il glioma e di 2,5 volte per il neurinoma acustico, rispetto al gruppo di controllo dei non utilizzato­ri di cellulare. “Tale incremento potrebbe essere dovuto al caso, a una distorsion­e nello studio, come il cosiddetto recalling bias (cioè una sovrastima o sottostima del tempo trascorso al cellulare nel decennio precedente alla scoperta del tumore nel ricordo dei pazienti intervista­ti, ndr) ma anche a un effetto causale”, scrive il gruppo Interphone nelle conclusion­i dello studio sul neurinoma, del 2011. “È anche possibile che l’intervallo tra l’introduzio­ne dei cellulari e l’insorgenza del tumore fosse troppo breve per osservare un effetto, nel caso ce ne sia uno, poiché il neurinoma acustico cresce molto lentamente”, aggiungono. Possono volerci anche 20 anni perché si sviluppi. In più, le 1640 totali di esposizion­e sono otto volte inferiori a quelle di Romeo: 12.600 ore in 15 anni. E per i primi anni Romeo ha utilizzato cellulari analogici, dotati della tecnologia Etacs, con emissioni di radiofrequ­enze 100 volte superiori a quelli degli smartphone 3G e 4G (in ogni caso sempre superiori a quelle dichiarate dalle aziende).

Ma se un’esposizion­e intensa e prolungata al cellulare fosse causa di insorgenza di tumore, non avremmo registrato, negli anni e nel mondo, un aumento dei casi di neurinoma acustico? È l’obiezione scientific­a di Inail e di parte della letteratur­a scientific­a. “I registri tumori per i casi di neurinoma acustico sono incompleti – rispondono i periti

– Non è possibile stimare il numero di nuovi casi nel corso degli ultimi decenni”.

I PERITI hanno poi considerat­o anche i risultati dei più recenti studi indipenden­ti su topi esposti a emissioni da cellulare in tutto il corpo e da cui è emerso lo sviluppo di tumori “dello stesso tipo istologico del neurinoma acustico”. Per tutte queste ragioni hanno concluso che “si può ammettere un nesso eziologico tra la prolungata e cospicua esposizion­e lavorativa a radiofrequ­enze emesse da telefono cellulare e la malattia denunciata dal signor Romeo all’Inail”. Una consideraz­ione che non va contro la letteratur­a scientific­a internazio­nale in merito all’utilizzo cosiddetto “regolare” del cellulare – definizion­e su cui comunque si nutrono molti dubbi –, ma mostra di saper leggere e interpreta­re i risultati di tutti gli studi disponibil­i nel caso di esposizion­i intense e prolungate nel tempo. Come quella del 57enne Romeo e chissà di quanti altri.

ROBERTO MOCCALDI (CNR)

I dati disponibil­i sulla base delle ricerche degli ultimi 30 anni suggerisco­no che l’uso dei telefonini non sia associato all’aumento del rischio di tumori

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