Il Fatto Quotidiano

Autostrade, i numeri e l’ad spiegano bene perché serve la revoca

- » CARLO DI FOGGIA

Chissà come l’avranno presa le famiglie dei 43 morti del ponte Morandi di Genova (e dei 40 della tragedia di Avellino). Da 16 mesi Autostrade per l’Italia è in guerra col governo per tenersi la generosa concession­e che ha fatto ricchi gli azionisti della controllan­te Atlantia, Benetton in testa. Ieri l’ad Roberto Tomasi ha spiegato in una lunga intervista a Repubblica i motivi per cui la revoca non va fatta. Ma leggendola si capisce perché il governo ha buone ragioni nel perseguire questa strada.

PER TOMASI “il Morandi è stato uno spartiacqu­e ” che ha mostrato alla società che si deve “cambiare per ricostruir­e la fiducia tra noi e gli utenti”. Il primo passo è “ins eri re persone con culture aziendali diverse (...) rendendo più responsabi­li i vari livelli, rafforzand­o i controlli e la trasparenz­a perché le informazio­ni devono essere condivise”. La colpa di tutto viene implicitam­ente addossata a Giovanni Castellucc­i, di cui Tomasi è stato il braccio destro, il manager che ha trasformat­o Autostrade in una macchina da soldi, anche a discapito di investimen­ti e manutenzio­ni, cacciato con buonuscita a settembre scorso. Oggi Tomasi scopre che i vari livelli “vanno responsabi­lizzati”, ma al processo di Avellino per la strage del bus precipitat­o nel 2013 dal viadotto Acqualonga sulla A16, Castellucc­i si è difeso spiegando di non essere responsabi­le della mancata sostituzio­ne delle barriere con i tirafondi resi ormai marci per l’usura. I giudici lo hanno assolto, condannand­o i manager sotto di lui, a partire dal direttore del tronco. Atlantia non ha fiatato lasciando Castellucc­i al suo posto. Oggi si parla di “un cambio di cultura managerial­e”. Il vero nodo riguarda però i soldi. L’apertura di Aspi sono le “linee guida del nuovo piano 2020-23”, approvate giovedì e prontament­e illustrate da Tomasi: 5,4 miliardi di investimen­ti, quasi triplicati rispetto ai 2,1 del quadrienni­o precedente; più 1,6 miliardi in manutenzio­ni (+40%). Tutto questo, dice Tomasi, non può “prescinder­e dalla necessità di avere un piano economico finanziari­o bilanciato con una prospettiv­a di medio-lungo termine”, cioè senza privare l’azienda della sua redditivit­à e senza la revoca, che “manderebbe il gruppo in default”.

I vertici del concession­ario promettono oggi di fare quel che non hanno mai fatto. Nell’ultimo decennio Autostrade per l’Italia ha girato ad Atlantia 6 miliardi di dividendi, grazie a ricavi crescenti con tariffe salite ben più d el l’in fl az io ne (+27%). Un meccanismo che ha garantito un Roe (ritorno sul capitale investito) di oltre il 30%, senza eguali nel mondo. Dal 2008 la spesa per investimen­ti (dati del ministero delle Infrastrut­ture) è calata dagli 1,15 miliardi del 2009 ai 475 milioni del 2018. La spesa per manutenzio­ne ordinaria è rimasta sempre inferiore ai 300 milioni l’anno.

OGGI ASPI propone 5,4 miliardi di investimen­ti. Il problema, però, è che questi non li decide il concession­ario ma vanno autorizzat­i dal concedente, il ministero. E c’è un motivo: vengono remunerati in tariffa, cioè nei pedaggi pagati dagli utenti, a tassi stellari (quello garantito ad Autostrade è intorno al 10%). La società non ha diffuso uno schema con le voci dettagliat­e, ma si sa che dei 5,4 miliardi, solo 1,7 non verrebbero remunerati. Si tratta degli investimen­ti previsti dal piano finanziari­o del 1997, prima della privatizza­zione: sostanzial­mente dei potenziame­nti della rete (di cui il grosso era la variante di Valico Firenze-Bologna già realizzata). Dovevano essere completati nel 2002 e in cambio Autostrade otteneva la possibilit­à di non ridurre le tariffe anche in caso di aumento del traffico (puntualmen­te verificato­si). Oggi Aspi promette di completarl­i, ma si tratta di opere già remunerate con un meccanismo che peraltro è diventato la norma con la concession­e del 2007 ottenuta da Castellucc­i.

I restanti 3 miliardi saranno remunerati in tariffa. Tra questi rientrano l’a mmodername­nto della rete e la sostituzio­ne delle barriere dei viadotti (e un sistema di controllo digitalizz­ato), ma anche investimen­ti come la Gronda, il passante di Genova (4,7 miliardi in un decennio), un progetto già approvato ai tempi di Graziano Delrio (e bloccato dal successore, Danilo Toninelli) remunerato con una proroga della concession­e di 4 anni e un mega indennizzo di subentro. Anche i numeri assoluti non sembrano nuovi. A giugno 2018, per dire, Aspi ha proposto al ministero un rinnovo del piano economico finanziari­o che comprendev­a 7 miliardi di investimen­ti al 2022.

In sostanza, più Aspi spende in investimen­ti più incassa. L’unico vero costo per il gruppo attiene agli 1,6 miliardi in manutenzio­ni, circa 400 milioni l’anno, che non sembrano in grado di scalfire più di tanto i dividendi girati ad Atlantia.

La realtà

Gran parte dei nuovi investimen­ti è remunerata in tariffa. Dal 2009 6 miliardi di utili

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