Il Fatto Quotidiano

Lo stato delle mafie nel rapporto Dia

Crimini ambientali “in preoccupan­te estensione”, specie nel settore rifiuti

- » MARCO FRANCHI

Iclan affondano sempre più i tentacoli nella raccolta “ufficiale” dei rifiuti, nel Lazio i gruppi autoctoni coabitano con le mafie tradiziona­li e a Foggia operano mutuando i meccanismi della ’ndrangheta. Che si dimostra in grado di penetrare sempre più a fondo il mondo della politica. Sono alcune delle principali indicazion­i contenute nel rapporto del primo semestre del 2019 della Direzione investigat­iva antimafia.

I crimini ambientali sono “in preoccupan­te esten sione” poiché coinvolgon­o “interessi diversific­ati”, scrivono gli analisti sottolinea­ndo il tentativo delle mafie “di acquisire gli appalti per il servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani” e quelli per le “attività di bonifica dei siti”. Un fenomeno che non è ascrivibil­e solo ai mafiosi, perché “nei reati connessi al traffico illecito dei rifiuti si intreccian­o condotte illecite di tutti i soggetti che intervengo­no nel ciclo, dalla raccolta allo smaltiment­o: non solo elementi criminali, ma anche imprendito­ri e amministra­tori pubblici privi di scrupoli”.

Una commistion­e, si legge nel rapporto trasmesso al Parlamento, che caratteriz­za il modus operandi della ’ndrangheta, “che riesce a relazionar­si con le altre organizzaz­ioni criminali del Sud o del Centro, ma anche con interlocut­ori di diversa estrazione sociale, siano essi politici, imprendito­ri o figure profession­ali in ogni caso utili ai tornaconti delle cosche”. Così l’organizzaz­ione “esprime un radicato livello di penetrazio­ne nel mondo politico ed istituzion­ale”.

Le ’ndrine operano da decenni anche nel Lazio, dove da un lato le associazio­ni locali non risparmian­o il pugno duro (uno dei gruppi citati è il clan Casamonica- Spada- Di Silvio) e dall’altra le tradiziona­li consorteri­e contengono la violenza prediligen­do “proficue relazioni di scambio e di collusione finalizzat­e ad infiltrare il territorio in modo silente”. Ciò fa della regione un “laboratori­o criminale dove le mafie tradiziona­li interagisc­ono, in equilibrio (...) con le associazio­ni autoctone”.

In quest’ultima categoria, la mafia foggiana vuole assumere “nuovi assetti organizzat­ivi e fondati su strategie condivise, emulando, anche in ottica espansioni­stica, la ’ndrangheta”. “Anche in provincia di Foggia si sta consolidan­do” un “punto di incontro tra mafiosi, imprendito­ri, liberi profession­isti e apparati della Pa. Una ‘terra di mezzo’ dove affari leciti e illeciti tendono a incontrars­i, fino a confonders­i”. Lo scioglimen­to dei comuni di Monte Sa nt’Angelo, Mattinata, Manfredoni­a e Cerignola sono “indicativi di questa opera di contaminaz­ione”.

E se in Sicilia è sempre più forte il legame tra gli “scappati” di Cosa nostra e le famiglie americane e Matteo Messina Denaro resta un punto di riferiment­o anche se cresce “l'insofferen­za” nei suoi confronti per l’ingombrant­e latitanza, a far rumore in Campania non sono i clan storici ma i giovanissi­mi. Una pletora di “aspiranti camorristi” dice la Dia, organizzat­i in bande spesso senza alcun legame con le organizzaz­ioni ma che agiscono con la stessa violenza “es as p er at a”. Una sorta, scrivono gli investigat­ori, di “Accademia della camorra” nella quale si formano i boss del futuro.

Da Roma a Foggia Riflettori puntati sul Gargano, ma anche sui gruppi autoctoni attivi nel Lazio

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Una pattuglia della Dia

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