Librerie in crisi: più a rischio il libero pensiero
“Seguendo l’abitudine di una vita, ho cercato consolazione nelle mie letture – logori mazzolini di saggezza da annusare quando il puzzo della vita diventa opprimente” (da “Darke” di Rick Gekoski – Bompiani, 2017 - pag. 121)
La crisi delle librerie in Italia è, innanzitutto, una crisi cronica della lettura in un Paese incline a leggere poco e a pensare ancor meno. È la crisi globale del libro come prodotto cartaceo, destinato a convivere sempre più con gli e-book e gli audio-libri. Ed è poi la crisi di un’editoria come la nostra, in larga parte mercantile ed esterofila, che preferisce frequentare fiere e saloni per acquistare i diritti su libri stranieri – spesso scritti male e tradotti o editati peggio e infarciti di “refusi” – piuttosto che sperimentare nuovi generi e lanciare nuovi autori. E infine, è anche la crisi delle librerie come luoghi di incontro, di confronto e di socializzazione, con spazi inadeguati e dispersivi come labirinti o bazar, con commessi o commesse per lo più indisponibili e indisponenti.
Non c’è da meravigliarsi troppo, dunque, che in tutto questo tante librerie (2332 negli ultimi cinque anni, secondo Confcommercio) siano costrette a chiudere i battenti, fagocitate dalla concorrenza spietata di Amazon, come da ultimo due storiche Feltrinelli a Roma e la bicentenaria Paravia a Torino. Ma non è retorico dire che, per ognuna che scompare, si perde un presidio di cultura e di libero pensiero; un deposito di idee, di fantasia, di linguaggio. È giusto perciò occuparsene e cercare i rimedi, al di fuori però di qualsiasi tendenza protezionistica orientata alla conservazione e all’assistenzialismo.
SI PUÒ APPREZZARE, allora, la proposta del ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, di stanziare fondi pubblici con una legge ad hocper sostenere l’intera filiera del libro, come si fa già per il cinema. A condizione che ciò avvenga secondo criteri oggettivi di merito e di trasparenza. Magari privilegiando le piccole librerie e i cosiddetti librai indipendenti nel segno della “bibliodiversità”.
Contro la crisi della lettura, sono gli editori in primis che devono avere più coraggio e spirito d’iniziativa. Selezionando i titoli che pubblicano, in ragione della qualità e del pluralismo culturale. Offrendo edizioni più economiche e maneggevoli. Mettendo fine alla “guerra degli sconti” e proponendo prezzi ridotti per i giovani e gli studenti; lanciando eventi multimediali o campagne promozionali all’interno delle librerie e istituendo “Scuole di lettura”, con il coinvolgimento degli scrittori e dei critici letterari.
Una responsabilità particolare spetta alla scuola in quanto istituzione. È proprio sui banchi che si può cominciare a diffondere l’abitudine e la passione per la lettura tra i più piccoli. L’importante è far capire fin dall’inizio ai bambini e ai ragazzi che non esistono soltanto i libri di testo da studiare, ma anche quelli di narrativa da gustare e da amare.
Un ruolo decisivo compete infine al sistema mediatico, a cominciare dal servizio pubblico radiotelevisivo. È la radio che può valorizzare il contenuto dei libri, anche più della tv e dei giornali che si rivolgono generalmente a un pubblico di habitué, attraverso la parola, il linguaggio, la comunicazione orale. Mentre la televisione ha bisogno di spettacolarizzare tutto, la radio è in grado – magari con appropriati accompagnamenti musicali – di suscitare l’interesse e catturare l’attenzione anche dei lettori non abituali, uscendo dal perimetro delle trasmissioni-ghetto o dal recinto delle cosiddette reti culturali.
È vero: leggere libera la mente. Ma, prima, bisogna imparare a leggere.