Giulio mani di forbice, Andreotti, Tatti e la censura
Bei tempi quando c’era la censura, quella vera, a suon di cesoiate. Tempi di forchettoni e di forbicioni, quando Giulio Andreotti, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega allo Spettacolo, ebbe potere di visto e di morte sulla sua passione giovanile, il cinema. Non si diventa divi a caso. Il cinema visto da vicino , film-intervista di Tatti Sanguineti trasmesso su Sky Arte, mostra quale occhiuta vigilanza vegliasse sull’immaginario collettivo nell’Italia degli anni 50: forse non moriremo democristiani, però ci siamo nati. Giulio mani di forbici è dire troppo, non è il suo stile. Piuttosto mani di forbicine, quelle della signorina della manicure, utili a smussare, a spuntare più che a trinciare. Tre le preoccupazioni principali: coprire il corpo delle donne (dove però Andreotti fu surclassato dal suo successore alla Commissione censura, Oscar Luigi Scalfaro); sminare il pericolo comunista; troncare e sopire chi dava del Paese un’immagine depressiva. Sarà vero che a pensar male ci si azzecca, però si fa peccato. Quindi “i panni sporchi si lavano in casa”, sentenziò il Divo a proposito dell’Umberto D. di De Sica e Zavattini; un’argomentazione imperitura nella sostanza, non così diversa sessant’anni dopo da chi ha giudicato inopportuna Gomorra - La serie perché fa una brutta pubblicità a Scampia. Bei tempi quando c’era la censura con le cesoie maiuscole; ora c’è l’autocensura a propria insaputa, certe cose non c’è bisogno di proibirle, basta non pensarle.