Gori, il berluscon-craxiano che pensa di scalare il Pd
Resistibile ascesa Dopo aver amato Bettino, sussurrato a Matteo e lavorato per Berlusconi, rieccolo: vuole sfidare Zinga per la guida del Pd
■ Scrive un manifesto per “un’altra sinistra”: ma lui che c’entra con la sinistra?
Ci dev’essere un malinteso. Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, ha scritto un manifesto politico: tre pagine fitte fitte, piene di proposte su crescita, produttività, immigrazione, investimenti, Fisco, Europa, giovani e donne. Le ha pubblicate ieri sul F o gl i o di Claudio Cerasa. L’ambizione è tanta: “Un sogno pragmatico di rilancio italiano”. Il titolo è suggestivo, importante: “Un’altra sinistra è possibile”.
Eccolo, l’equivoco: cosa c’entra Giorgio Gori con la sinistra? La sua stessa biografia è un’appassionata, ostinata negazione della parola “sinistra”. Giovane repubblicano, poi craxiano mai pentito, poi brillantissimo dirigente televisivo di Mediaset negli anni d’or o del l’ascesa di Berlusconi, poi stretto collaboratore di Renzi nella parentesi ruggente della rottamazione. Seguendo l’adagio di tanti riformisti italiani, quello di Gori è stato un lavoro senza sosta per andare “oltre” la sinistra. Ma oltre la sinistra – diceva Massimo D’Alema – “c’è solo la destra”. Ed è lì che dovrebbe collocarsi Giorgio
Gori, senza timidezze.
IL NOSTROinvece ha altri programmi: una p a r t e d e l Pd (quella più a destra, appunto) accarezza l’idea di affidarsi a lui per provare a riprendersi il partito: Gori potrebbe diventare l’a nti-Zinga, il prossimo papabile segretario moderato. Ne ll’affascinante galassia post-renziana – un mondo che si può osservare puntando con cautela il microscopio su Twitter – le sue parole incendiarie sul futuro della sinistra (Crescita sì! Protezione sociale no!) sono circolate avidamente e commentate con entusiasmo.
Gori ci crede, è ambizioso. In questi giorni la sua iper-attività è sospetta. Scrive piccoli trattati, rilascia interviste, accorre alla tomba di Craxi ad Hammamet: si colloca (o almeno ci prova) al centro del dibattito. Al Foglio , tanto per cambiare, ha regalato un micidiale saggio sul defunto leader socialista:
“E adesso diamo a Craxi quel che è di Craxi”. L’ex dirigente di Mediaset si colloca, in abbondante compagnia, tra coloro che oggi beatificano Bettino: non fu un collettore di tangenti (come stabiliscono le sentenze) ma una vittima della “rivoluzione dei giudici”. Un innovatore: “Su tanti temi politici aveva ragione lui e Berlinguer aveva torto, non si può cancellare così un pezzo importante della storia della sinistra”. Aridaje.
CHISSÀ quando nasce questo morboso malinteso di Gori per la sinistra. Non negli anni del Liceo Sarpi, scuola “nobile” della borghesia di Bergamo alta, quando il futuro sindaco militava “in un gruppo studentesco di ispirazione laica e riformista, Azione e Libertà, che si riuniva nella sede del Partito repubblicano”.
Non certo negli anni dell’affermazione personale, quelli della folgorante carriera nelle televisioni di Berlusconi: nel 1991 Gori diventa direttore di Canale 5 a 31 anni. Rimane nella rete ammiraglia del Biscione fino al 2001: assiste da una posizione privilegiata, eufemismo, al lancio di Forza Italia sulle tv del padrone. È in una posizione di comando mentre prende forma il ventennio di Silvio.
La passione di Gori per la sinistra non deve risalire nemmeno al periodo successivo, quando si mette in proprio e fonda Magnolia: sotto la sua guida diventa una delle più ricche società di produzione d’Italia (grazie a programmi come X Factor, Masterchef e Grande Fratello). Anni nei quali, ovviamente, continua a mantenere un legame con Mediaset.
INFINE, ecco la politica attiva. Gori si piazza dietro Matteo Renzi. È l’autore materiale delle “100 proposte” alla Leopolda del 2011, l’anno in cui il rottamatore inizia la sua ascesa nazionale. In quel periodo lo segue come un’ombra: “una raffinata testa d’uovo del berlusconismo” (definizione di Miguel Gotor) che sussurra alla giovane speranza del Pd. Per i giornali è il suo spin doctor: Gori sta a Renzi come Gianni Boncompagni stava ad Ambra, lo guida parola per parola. Un’esagerazione che Matteo non gradisce: il rapporto tra i due vive di fortune alterne. Ma di certo Gori, che agli albori proponeva “una Rai libera dai partiti”, qualche anno dopo sarà il propiziatore delle nomine renziane nella tv pubblica. Ilaria Dallatana, direttrice di Rai Due nel 2016, era la socia con cui aveva fondato Magnolia. Daria Bignardi, direttrice di Rai3, era stata lanciata da Gori grazie al Grande Fratello. E soprattutto il direttore generale Antonio Campo Dall’Orto era stato il suo assistente ai tempi di Canale 5. Il dominio dei “goriani” in Rai si sintetizza con una battuta di Enrico Mentana: “Giorgio è il Rutelli della televisione italiana”.
MA IL NOSTRO, in fondo, rimane defilato, i riflettori non sono per lui. Certo, nel 2014 diventa sindaco di Bergamo, ma nel 2018 perde la sfida capitale per diventare presidente della Lombardia: il leghista Antonio Fontana gli infligge una batosta. E a ben vedere, Gori non è uno che ama stare tra gli sconfitti. È stato craxiano negli anni di Craxi, ai vertici della macchina televisiva di Berlusconi negli anni di Berlusconi, renziano negli anni di Renzi. Secondo la moglie Cristina Parodi, “Giorgio vuole sempre vincere, anche se gioca a tennis con i figli o a Trivial pursuit”.
Ora, con il declino della parabola renziana, con il Pd di Zingaretti che sembra rassegnato all’irrilevanza, ecco che forse si apre uno spiraglio. Un vuoto da colmare. Gori sgomita. Vola ad Hammamet “contro la lunga dem on i zz a zi o n e” di Bettino. Critica Zingaretti in un’intervista a Repubblica, il giorno dopo smentisce di averla rilasciata. Infine pubblica il suo manifesto per la rinascita della sinistra. Svelato il malinteso: è un manifesto per la rinascita di Gori.
IN PROCESSIONE AD HAMMAMET
Il Pd è debitore di Craxi, su tanti temi aveva ragione lui e Berlinguer aveva torto. Ha commesso errori, ma non si cancella così un pezzo di storia della sinistra
UNA MODESTA PROPOSTA
Alle fasulle promesse di Salvini e dei Cinque Stelle dobbiamo contrapporre un sogno pragmatico di rilancio, un orizzonte di speranza per l’Italia