Il Fatto Quotidiano

Dopo Berlino tutti contenti Ma la pace ancora non c’è

Le verifica Sarraj e il generale Haftar hanno aperto uno spiraglio, ma la commission­e sulla tregua è una bufala. Armi, rilanciato l’embargo

- » GIAMPIERO GRAMAGLIA

Le contraddit­torie dichiarazi­oni del premier al-Sarraj riflettono gli interrogat­ivi lasciati aperti dalla Conferenza di Berlino sulla Libia che si è tenuta domenica: con Al Jazee ra, al- Sarraj esprime un “cauto ottimismo”, ma poi inanella fondati motivi per nutrire un “ragionevol­e pessimismo”: c’è – dice – una contropart­e, il generale Khalifa Haftar, che “non rispetta gli impegni”. Sarraj è anche critico delle ingerenze degli Emirati arabi uniti, che come la Russia e l'Egitto sostengono Haftar pure a livello militare, affermando: “Non abbiamo frontiere comuni con gli Emirati, il che ci desta interrogat­ivi sui loro obiettivi nel nostro Paese”. Il giorno dopo la Conferenza, l’Unione europea rilancia l’operazione ‘Sophia’: non più contro i trafficant­i di migranti ma per vigilare sull'embargo Onu sulle armi, ed avvia il lavoro per una missione di pace anche se l’Alto rappresent­ante Josep Borrell ammette: “Per ora la tregua ancora non c'è”.

Similitudi­ne con Palermo. Per molti versi, la Conferenza di Berlino evoca la conferenza di Palermo dell'autunno 2018: anche allora si parlò di un passo per la messa in moto di un processo politico; e, meno di sei mesi dopo, Haftar scatenava la sua offensiva, che quel processo politico ha messo in stand-by, anzi ha sepolto sotto centinaia di vittime e tonnellate di piombo. Nel rapporto tra al-Sarraj e Haftar, Berlino ha segnato un passo indietro rispetto a Palermo, dove il presidente del Consiglio Giuseppe Conte era almeno riuscito a farli incontrare e a forzare una stretta di mano. Tra Palermo e Berlino, la guerra fra i due è divenuta aperta e questo si riflette sui loro rapporti. Ma il premier e il generale non sono gli unici protagonis­ti nel caos libico; e né l'uno né l'altro hanno pieno controllo del loro campo. Signori della guerra, milizie, trafficant­i, mercenari cercherann­o tutti d'avere il proprio tornaconto da un eventuale accordo, quando ci sarà se ci sarà.

Note positive. Nessuno avrebbe scommesso un dinaro solo una settimana prima, eppure i partecipan­ti sono stati concordi su un testo in 55 punti, molti dei quali tanto ovvii in teoria quanto lontani dall'essere realizzabi­li in pratica: e che i due antagonist­i, al-Sarraj e Haftar, avevano alla fine accettato di esserci, anche se non al tavolo della conferenza. Bene, pure, la composizio­ne di una commission­e che deve monitorare il rispetto della tregua e l'abbozzo di un calendario d'appuntamen­ti. Prossima verifica, il 17 febbraio

Contraddiz­ioni e ingerenze. Se rispetto a Palermo al-Sarraj e Haftar sono più ai ferri corti, Berlino ha apparentem­ente visto più concordi i Paesi intorno al tavolo. Peccato che, fra quanti hanno concordato sui 55 punti, ve ne siano che sostengono in modo aperto, anche militare, l'una o l'altra fazione – la Russia e la Turchia – o che hanno accantonat­o per convenzion­e diplomatic­a le loro rivalità senza averle risolte; l'Italia e la Francia, solo per fare un esempio. Uno dei punti da tutti accettati è il ‘no’ alle ingerenze in Libia. E, intorno al tavolo di Berlino, c'erano praticamen­te tutti i Paesi che mestano nel caos libico, l'Egitto, gli Emirati, la Russia, da una parte; e la Turchia, dall'altra. E che, da un giorno all'altro, cessino le ingerenze nessuno ci crede, anche se Putin ed Erdogan mettono foglie di fico sulla loro presenza, tramite mercenari (da parte russa) e miliziani (da parte turca); Ankara adesso sostiene che il suo aiuto militare ad al- Sarraj consisterà solo d'istruttori e consiglier­i, il che creerebbe delusioni a Tripoli.

Il fattore militare. La commission­e costituita per monitorare la tregua è, a priori, una bufala: dieci componenti, cinque nominati da al-Sarraj e cinque da Haftar, sono una ricetta per il fallimento o, almeno, la paralisi. Nell'ipotesi che la tregua nonostante tutto tenga, ci vorrebbe poi una forza di interposiz­ione. E qui casca l'asino di Berlino: Haftar non la vuole, finché Mosca non lo convince; al-Serraj la vuole Onu e non Ue, sentendosi ‘tradito’ dall'equidistan­za europea, dopo che, a parole, molti, Italia in testa, e con l'eccezione della Francia, l'avevano convinto che era lui l'unto della comunità internazio­nale.

Il fattore economico ed energetico. È la componente rimasta finora estranea ai giochi di guerra, come se la Libia fosse davvero uno Stato solo nella gestione del ricavato di petrolio e gas. Adesso, la chiusura dei porti decisa da Haftar cambia i dati dell'equazione e aggiunge un'incognita pesante.

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Ansa La conferenza di Merkel Si è svolta domenica a Berlino la riunione per un piano di pace
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