Altro che elezioni, a Baghdad si spara
Contestato il governo filo iraniano, l’Onu: “Repressione inaccettabile”
I dissidenti avevano avanzato tre proposte principali: elezioni anticipate, la formazione di un governo di transizione, una inchiesta sulla morte dei manifestanti durante i cortei di protesta che si susseguono ormai dallo scorso ottobre.
Nessuna di queste è stata messa in atto dal governo iracheno e a Baghdad e Nassiryah si sono riviste le scene di violenza; da un lato i dimostranti, dall'altra le forze di sicurezza.
AL GOVERNO si imputa una sottomissione alle direttive iraniane; è Teheran – dicono i giovani che affollano i cortei – e non Baghdad che vuole decidere del nostro futuro. Il bilancio degli ultimi scontri è di cinque morti e 60 feriti, tre vittime sono state uccise nella capitale ieri, gli altri sono caduti durante il fine settimana appena trascorso. Le forze di sicurezza hanno usato la mano pesante vicino al Sinak Bridge e a Tayaran Square. Il Comando delle operazioni di Baghdad dal canto suo ha fatto sapere che 14 militari sono stati feriti dai lanci di sassi dei manifestanti.
A Nassiryah i feriti fra i civili sono stati sei. A Kerbala, nel sud del Paese, le forze di sicurezza hanno usato pallottole e lacrimogeni provocando la morte di un manifestante, 25 sono rimasti feriti. Uno degli episodi - per alcuni la scintilla - che ha scatenato le rivolte di piazza, lo scorso anno, è stata la rimozione, da parte del governo di Abdul- Mahdi, di Abdul- Wahab al-Saadi; per gli iracheni una decisione incomprensibile perchè l'ufficiale che guidava le Forze antiterrorismo irachene era stato il veterano che aveva liberato il paese dall'Isis. Saadi è stato mandato al ministero della Difesa e gli osservatori più attenti ritengono che la scelta sia avvenuta dopo che l'Iran aveva fatto pressione sui politici iracheni più vicini per intralciare l'ascesa del generale e la sua popolarità sempre crescente.
La repressione ha suscitato la reazione del rappresentante delle Nazioni Unite in Iraq, Jeanine Hennis-Plasschaert, che ha definito “inaccettabile” l’uso della forza contro i manifestanti pacifici: “Negli ultimi mesi, centinaia di migliaia di iracheni di ogni estrazione sociale sono scesi in piazza per esprimere le loro speranze di tempi migliori, liberi da corruzione, interessi di parte e interferenze straniere. L’uccisione di manifestanti pacifici, combinati con lunghi anni di promesse non mantenute, hanno provocato una grave crisi di fiducia”.
SECONDO L’ALTA commissione irachena per i diritti umani, dall'inizio delle proteste ci sono stati 380 morti, per lo più tra i manifestanti. I feriti sono stati 17.700. Le dimissioni del primo ministro Mahdi alla fine di novembre sembravano la svolta tanto attesa ma hanno portato solo qualche giorno di pausa nelle proteste; il paese resta senza servizi essenziali e corre il rischio di una nuova guerra civile dopo quella combattuta per liberarsi dallo Stato Islamico.
Risuonano ancora le parole di qualche giorno fa del leader sciita Moqtada al-Sadr, vincitore delle ultime elezioni: “L ' Ir a q può trasformarsi in una nuova Siria”.