Violenza e femminicidi: la storia della musica è piena di scorrettezze
NON SOLO AL FESTIVALVasco, Venditti e pure Jeanne Moreau: gli artisti se ne fregano della censura
“Te la ricordi Lella, quella ricca/ La moje de Proietti er cravattaro”... Forse non tutti ricordano Lella, la canzone composta da Edoardo De Angelis dopo essere passato in autobus davanti a un negozio di cravatte in piazza del Tritone. Dalla cravatta allo strangolamento il passo è breve e del resto in romanesco cravattaro è anche lo strozzino. Uscita come singolo nel ’ 7 0, Lella è la confessione di quello che oggi chiameremmo femminicidio e nemmeno un trapper della suburra si permetterebbe di cantare. A
Lella “piaceva anna’ ar mare quann’è inverno”. Ma il freddo si poteva sopportare. Quello che non si poteva sopportare era un rifiuto a San Silvestro: “Me dice co’ la faccia indifferente:/ Me so stufata nun ne famo gnente”.
Lella è stata interpretata da vari artisti, da Fiorini a Venditti passando per l’angelica Schola Cantorum. Il commissario Montalbano la canticchia sperando che pure Il ladro di merendine confessi. Ne esiste una versione successiva censurata dove spariscono i versi della terza strofa: “Me ne so’ annato senza guarda’ ’ndietro/ Nun ciò rimorsi e mo’ ce torno pure/ Ma nun ce penso a chi ce sta la’ sotto/ Io ce ritorno solo a guarda’ er mare...” Femminicidio sì, purché ci sia il pentimento.
IN MUSICA questo delitto ha natali nobili e maledetti. La ballata del carcere di Reading trae origine da un’impiccagione. Charles Wooldridge, compagno di galera di Oscar Wilde, finisce sul patibolo per avere sgozzato la moglie con un rasoio: “Yet each man kills the thing he loves”. Composta da Wilde dopo la scarcerazione, la ballata viene messa in musica e resa famosa dall’interpretazione straordinaria di Jeanne Moreau nel film di Fassbinder Querelle de Brest . La denuncia della pena di morte sparisce, ma torna in Ballate per uomini e bestie di Vinicio Capossela: “Ognuno uccide quel che ama/ Ma non ognuno per questo muore/ Non muore di morte infame”.
Per le strade di Mosca mi è capitato varie volte di sentire Murka, una classica canzone della mala sovietica, ambientata a Odessa, da eseguire con voce molto roca. Murka, letteralmente “gattina”, è una poliziotta sotto copertura e si infiltra in una banda. Il boss, innamorato di lei, la scopre e le spara al ristorante. La canzone finisce con un colpo di pistola debitamente riprodotto: “Perdonami amore”.
Buscaglione avrà preso da lì? La tivù russa ha dedicato un serial a
Murka ma non ha potuto girarlo.
Cambiando un po’ solfa Vasco Rossi nel 1980 se la prende con
Al fre do (“Ma io una volta o l’altra lo uccid o”) e non con “la t ro i a” andata a casa “con il negro”, ma l’epiteto la fa passare per una canzone razzista, sessista e così via. La musica riflette la vita e non si poneva problemi di politicamente corretto. Ben radicato culturalmente nella storia della musica, il tema del femminicidio – a parte qualche verso di Lella– non risulta abbia subito particolari censure che toccavano preferibilmente temi sessuali o religiosi. Uno dei casi più noti è La città vecchia di De André: “quella che di giorno chiami con disprezzo pubblica moglie/ quella che di notte stabilisce il prezzo alle tue voglie”. Nella versione non censurata: “Quella che di giorno chiami con disprezzo specie di troia/ quella che di notte stabilisce il prezzo alla tua gioia”. Pure quando il cantante è donna la dinamica femminicida non cambia. Maracaibo , cantata da Lu Colombo, con testo suo e di David Riondino, viene rifiutata per qualche anno ed esce nell’81, all’inizio del decennio del disimpegno. La vittima è innamorata di Miguel, ma Pedro l’abbraccia sulle casse di nitroglicerina: “To rn ò Miguel, tornò/ La vide e impallidì/ Il cuor suo tremò/ Quattro colpi di pistola le sparò”. E poi “Fuggire sì ma dove? Za za”. Non sparate sul pianista, ma sulla donna sì.
Indegni di nota?
Donne sgozzate o freddate, “troie” e “negri”: persino “Maracaibo” parla di un tentato omicidio