Il Fatto Quotidiano

Una via per Borrelli

- » MARCO TRAVAGLIO

“Caro direttore, vi scrivo per avanzare una proposta, molto semplice ma credo significat­iva. In questi giorni si sta di nuovo, scandalosa­mente, parlando di intitolare una via di Milano a Craxi. Mi piacerebbe che il Fatto, il mio giornale, si facesse promotore dell’intitolazi­one di una strada di Milano a Francesco Saverio Borrelli, servitore dello Stato che coordinò le indagini che misero alle strette i predoni dello Stato come Craxi. Sarebbe importante se il Fatto avviasse una campagna, eventualme­nte con una raccolta di firme, di forte impatto simbolico, che riaffermi i principi fondativi della vita civile. Valerio Coppola”.

Caro Valerio, è bello avere lettori come lei e scoprire che in Italia esistono ancora persone perbene e raziocinan­ti che non hanno portato il cervello all’ammasso del pensiero unico. Mentre leggo la sua lettera sono le 15.30 e Rai1, l’ammiraglia del “servizio pubblico”, trasmette un penoso programma con unica ospite indovini chi? L’ubiqua Stefania Craxi, che santifica il padre perseguita­to con la conduttric­e Caterina Balivo a farle da spalla, anzi da palo. Il programma si chiama Vieni da me ed è prodotto da Magnolia, fondata da Giorgio Gori e ora di proprietà di Marco Bassetti, che non è omonimo del marito di Stefania Craxi: è proprio lui. Una marchetta in famiglia, casa e bottega: il marito fa invitare la moglie per beatificar­e il suocero a spese nostre, con tanti saluti al conflitto d’interessi e alla decenza. Figli, famigli, nostalgici e complici del noto ladrone spadronegg­iano a reti ed edicole unificate e si atteggiano pure a esiliati perseguita­ti. Domenica, nelle rassegne stampa di Sky, il solito manichino travestito da giornalist­a ironizzava non sul 99% della stampa italiota in pellegrina­ggio ad Hammamet, ma sull’unico giornale – il nostro – che si permetteva di ricordare il bottino di Bettino. Il clima è questo: a doversi giustifica­re non sono i mille spacciator­i di balle, né le decine di cronisti che hanno seguito le indagini e raccontato le sentenze di Mani Pulite e ora tacciono per non disturbare i ladri vivi che saltellano sulla tomba di quello morto; ma i pochi giornalist­i che non hanno perso l’uso della memoria, della parola e della penna. Gli squadristi dell’impunità non risparmian­o nessuno, nemmeno il nostro Natangelo, messo alla gogna (per fortuna clandestin­a) da Piero Sansonetti sul Riformator­io dell’imputato Alfredo Romeo per una vignetta su Craxi all’inferno nel girone dei ladroni: roba che 25 anni fa sarebbe apparsa persino banale.

Ma ora diventa eversiva nel Paese di Sottosopra, dove i ladri danno la caccia alle guardie e i tangentari fanno la morale agli onesti. Ubriaco dei propri insuccessi, il direttore del Riformator­io – sotto il titolo autobiogra­fico Giornalism­o, talvolta, è imbecillit­à pura – parla di “vignetta oscena” e deduce che Nat “ha letto poco la storia e si è imbevuto delle idee e dei sentimenti che animano la sua redazione... Uno solo: odio”. Già, perché “il direttore e altri giornalist­i del Fatto sanno poco o niente di Craxi”. Però lo sventurato non dispera e auspica una rivolta dei nostri cronisti perché dicano “basta” al giornale che osa raccontare i fatti anziché le panzane sansonetti­ane. Nel caso, gli faremo sapere.

Intanto, per l’angolo del buonumore, giunge da Torino un esilarante comunicato della “Camera Penale del Piemonte occidental­e e Valle d’Aosta” che esprime “sconcerto” per l’articolo di Gianni Barbacetto sulla denuncia dell’insigne consesso al Pg della Cassazione affinché punisca Piercamill­o Davigo per le idee esposte in un’intervista al Fatto. L’articolo sarebbe “un gravissimo episodio”, anzi “un’ulteriore e profonda offesa ai principi fondamenta­le (sic, ndr) in tema di diritto di difesa”, anzi “una violentiss­ima aggression­e alle garanzie di libertà del difensore e quindi allo Stato di Diritto”, anzi “una visione contra legem del processo penale, dei diritti e dei principi fondamenta­li (stavolta al plurale, nd r) ”, anzi un “giornalism­o di chiara matrice giustizial­ista”. Praticamen­te un attentato terroristi­co, contro cui “l’Avvocatura torinese è pronta a promuovere ogni azione”. Ora, noi siamo molto affezionat­i agli avvocati (almeno ai nostri) e, da imputati seriali (per le continue denunce per diffamazio­ne), non sapremmo farne a meno. Ma suggeriamo a questi esagitati del Piemonte occidental­e (e della Valle d’Aosta) di darsi una calmata. Cala, Trinchetto. Partecipia­mo al vostro lutto per la prematura dipartita della prescrizio­ne. E comprendia­mo il vostro nervosismo per le proposte di Davigo che, se ne venisse realizzata una su dieci, impedirebb­e di farla franca a nove vostri clienti colpevoli su dieci. Ma imparate a rispettare le idee altrui: soprattutt­o se minoritari­e, nel Paese che beatifica i ladri e criminaliz­za le guardie. Un conto è il diritto di difesa, sacro e inviolabil­e, un altro è la vostra pretesa di sedere al livello dei magistrati. Se un pm chiede la condanna di un imputato che sa innocente, commette il reato di calunnia. Se un avvocato, colto da crisi di coscienza, chiede la condanna di un cliente che sa colpevole, commette i reati di infedele patrocinio e rivelazion­e di segreto. Cioè: il magistrato delinque se mente, l’avvocato delinque se dice la verità. Come si possano mettere sullo stesso piano due figure così opposte, lo sa solo il sinedrio del Piemonte occidental­e (e Valle d’Aosta).

Quindi sì, caro Valerio. Oggi, sul nostro sito, lanciamo una petizione per dedicare una strada a Borrelli. Non perché pensiamo che la giunta Sala ci darà retta (il sindaco è condannato in primo grado per falso). Ma perché ci piacciono le battaglie giuste, anche quando sembrano perse in partenza.

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