Il Fatto Quotidiano

OGGI DI MAIO FA LA MOSSA DEL CAVALLO

IL PASSO INDIETRO DA CAPO POLITICO IN VISTA DELLA NUOVA FASE DEI 5 STELLE SUL BINARIO TRACCIATO CON GRILLO. L’INTERIM A VITO CRIMI

- » LUCA DE CAROLIS

Il giorno del passo indietro, o meglio della mossa del cavallo. Di certo, la chiusura di una fase politica. Il mercoledì“dell’ annuncio importante, del grande annuncio politico” dicono dallo staff di Luigi Di Maio. Questo pomeriggio, durante la presentazi­one dei neo-eletti facilitato­ri regionali a Roma, il capo politico dei Cinque Stelle dirà ufficialme­nte cosa intende fare, di sé e del suo futuro da leader. E sarà il passo di lato, saranno le dimissioni da capo politico, che lo stesso Di Maio annuncerà questa mattina ai ministri dei 5Stelle, riuniti a Palazzo Chigi. Anche se ieri sera qualcuno soffiava di dimissioni non così dritte, di una formula più complicata e attutita. Ma sembravano indiscrezi­oni figlie della confusione, forse della paura. Il dato certo è che il 10 gennaio scorso il Fatto aveva scritto che Di Maio meditava seriamente di dimettersi, e di farlo prima delle Regionali del 26 gennaio, appena conclusa la votazione dei facilitato­ri regionali.

IERI MATTINA i nomi dei facilitato­ri sono arrivati, e oggi arriverà anche la verità di Di Maio, prima del voto in Emilia Romagna e in Calabria. Il 33enne ministro degli Esteri si farà da parte. E al suo posto da Statuto subentrerà come reggente il viceminist­ro a ll ’ Interno Vito Crimi, il membro più anziano del comitato di garanzia, l’organo di appello del Movimento composto anche dalla capogruppo in Regione Lazio Roberta Lombardi e dal viceminist­ro ai Trasporti Giancarlo Cancelleri. E sarà la transizion­e.

Anche se sul come, la sua ristretta cerchia fa muro fino all’ultimo. Non possono pronunciar­la quella parola, “dimissioni”, nella notte più lunga del 33enne ministro di Pomigliano d’Arco. E allora nel M5S che sembra un alveare impazzito si immaginano ipotesi diverse, proprio nel giorno in cui altri due deputati, Michele Nitti e Nadia Aprile, dicono addio e traslocano nel Gruppo misto: e dall’inizio della legislatur­a sono 31 i grillini cacciati o usciti, un’emorragia che non ha precedenti parlamenta­ri. In questo clima da isteria diffusa, tra i parlamenta­ri rimbalza la voce che Di Maio voglia arrivare da dimissiona­rio agli Stati generali del 13 marzo, cioè tenere comunque il timone. E gestire la delicatiss­ima fase di avviciname­nto al Congresso. Ma le norme dicono chiarament­e altro, impongono la reggenza. E comunque una terza via sarebbe una provocazio­ne, agli occhi di certi big che già si preparano per il dopo Di Maio. E affilano le armi. “Ora Luigi deve lasciare anche la carica di capo-delegazion­e” è il mantra. Cioè lasciare il ruolo di rappresent­ante del M5S al tavolo di governo a Stefano Patuanelli, il ministro allo Sviluppo economico che giorni fa ha aperto di fatto il dibattito congressua­le con un’intervista a Repubblica, in cui ha scandito che il M5S deve restare “nel campo riformista”. E che da giorni invoca “una leadership più diffusa”.

Sarà quella la vera battaglia negli Stati generali, il cozzare tra visioni opposte del presente e del futuro del Movimento. Perché tanti ministri vogliono rafforzare l’accordo con il Pd, o con ciò che ne prenderà il posto. E seguono la rotta tracciata senza sfumature dal Garante che continua a tacere, Beppe Grillo, e dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Ma Di Maio no, il capo che da oggi non sarà più tale vuole tenere il M5S equidistan­te, “ago della bilancia”. E si prepara allo scontro frontale, sapendo di avere con sé tanta della base storica e maggiorent­i di peso, dimaiani di ferro come Laura Castelli e Stefano Buffagni. Ma anche una carta per nulla segreta, Alessandro Di Battista, contrario come lui al governo con il Pd: ma contro il volere di Grillo la scorsa estate non poterono fare nulla, neppure loro. Però adesso è difficile fare i conti, capire quale anima e idea prevale in un Movimento che è un assieme di gruppetti e fazioni, e chiamarle correnti sarebbe tecnicamen­te errato.

DI CERTO DI MAIO non vuole andare alla conta a marzo. “Agli Stati generali non vogliamo scimmiotta­re vecchi congressi di partito” aveva detto a La Stampa alcuni giorni fa, evocando “il confronto invece dello scontro”. E ieri sera fonti qualificat­e confermava­no al Fatto che no, prima del Congresso di marzo non potrà arrivare un nuovo capo politico, che andrebbe comunque votato sulla piattaform­a web Rousseau dagli iscritti. “Siamo indietriss­imo con i lavori sugli Stati generali, non c’è neppure la sede, quindi non c’è il tempo tecnico per arrivare alla nomina di un sostituto prima del 13 marzo. E a questo punto neanche durante”.

Insomma, la conta sulla leadership che Di Maio vuole schivare non dovrebbe esserci. Ma cosa sarà il futuro prossimo è tutto da scrivere, anzi da combattere. La fase di Di Maio capo solitario si è chiusa. Ma il ministro non ha voglia di lasciare il campo, di restare a guardare da fuori per sempre. Sente di poter essere ancora l’unico a stare lassù, a reggere l’alta quota di un Movimento che nel 2019 ha perso ovunque e malissimo, ma che è ancora il primo partito italiano per numero di parlamenta­ri, comunque capace di condiziona­re la partita di governo anche in futuro, anche con il 16 per cento di cui lo accreditan­o i sondaggi.

I tempi del 33 per cento del trionfo delle Politiche del 2018, quelle in cui il simbolo elettorale “Di Maio presidente” era legge per tutti i grillini, sembrano lontani mille anni.

Ma un capo politico alternativ­o all’orizzonte non si vede. Lo sanno tutti, da Grillo all’ultimo dei parlamenta­ri. E infatti gli anti-dimaiani vogliono qualcosa di diverso, un organo collegiale stabile. Anche se sempre lui, il Garante Grillo, di ritorno a un direttorio non vuole sentire parlare. E poi servirebbe una modifica profonda dello Statuto. Ipotesi che ad occhio preoccupa l’altro capo, a Davide Casaleggio, quello che ha le chiavi della piattaform­a Rousseau, cioè della macchina operativa, a cui i parlamenta­ri versano (quasi tutti contro voglia) 300 euro al mese.

NONOSTANTE le ultime, difficili settimane, Casaleggio e Di Maio sembrano ancora vicini, più per forza che per passione. E forse è anche da qui che proverà a ripartire il capo dimissiona­rio, dall’asse con Milano. Ma non sarà affatto facile riprenders­i tutto. Mentre c’è già un primo nodo pratico, le dimissioni del capo politico da Statuto fanno decadere anche tutti i facilitato­ri. Ma il reggente, cioè Crimi, potrà confermarl­i. E mantenere in piedi una struttura, per il Movimento che ora dovrà navigare in alto mare. Senza il timoniere di prima, senza Luigi Di Maio.

Tempi lunghi

A marzo gli Stati generali, ma la nuova guida dovrebbe arrivare dopo

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