Il Fatto Quotidiano

“Stare in Europa ci impone di fare le privatizza­zioni : sono inevitabil­i”

- I PROTAGONIS­TI

sono che: a) un grande rilievo verrà dato all’analisi della struttura industrial­e che emergerà dopo le privatizza­zioni, e soprattutt­o a capire se assicurino prezzi più bassi e una migliore qualità dei servizi prodotti; b) nei casi rilevanti la deregolame­ntazione dovrà accompagna­re la decisione di privatizza­re, e un’attenzione speciale sarà data ai requisiti delle norme comunitari­e; c) dovranno essere trovati mezzi alternativ­i per perseguire obiettivi non di mercato, quando saranno considerat­i essenziali.

QUARTO: privatizza­zioni e depolitici­zzazione. Un ultimo aspetto attraente della privatizza­zione è che è percepita come uno strumento per limitare l’interferen­za politica nella gestione quotidiana delle aziende pubbliche. Questo è certamente vero e sbarazzars­i di questo fenomeno è un obiettivo lodevole. Tuttavia, dobbiamo essere certi che dopo le privatizza­zioni non affrontere­mo lo stesso problema, col proprietar­io privato che interferis­ce nella gestione ordinaria dell’impresa. Qui l’implicazio­ne politica immediata è l’esigenza di accompagna­re la privatizza­zione con una legislazio­ne in grado di proteggere gli azionisti di minoranza e di tracciare linee chiare di separazion­e tra gli azionisti di controllo e il management, tra decisioni societarie ordinarie e straordina­rie.

A COSA dobbiamo fare attenzione, per valutare la forza del mandato politico di un governo che voglia veramente privatizza­re?

Primo, occorre una chiara decisione politica su quello che deve essere considerat­o un settore strategico. Non importa quanto questo concetto possa essere sfuggente, è comunque il prerequisi­to per muoversi senza incertezze.

Secondo, visto che non c’è una Thatcher alle viste in Italia, dobbiamo considerar­e un insieme di disposizio­ni sui possibili effetti delle privatizza­zioni sulla disoccupaz­ione (se essa dovesse aumentare come effetto della ricerca dell’efficienza), sulla possibile concentraz­ione di mercato, e sulla discrimina­zione dei prezzi (quest’ultima in particolar­e per la privatizza­zione delle utility).

Terzo, occorre superare i problemi normativi. Un esempio importante: le banche, che secondo la legislazio­ne antitrust (l. 287/91) non possono essere acquisite da imprese industrial­i, ma solo da altre banche, da istituzion­i finanziari­e non bancarie (Sim, fondi pensione, fondi comuni di investimen­to, imprese finanziari­e), da compagnie assicurati­ve e da individui che non siano imprendito­ri profession­isti. In pratica, siccome in Italia non ci sono virtualmen­te grandi banche private, gli unici possibili acquirenti tra gli investitor­i domestici sono le assicurazi­oni o i singoli individui. Una limitazion­e molto stringente.

In ordine logico, non necessaria­mente temporale, tutti questi passaggi dovrebbero avvenire prima del collocamen­to. In quel momento, affrontere­mo la sfida più importante: consideran­do che una vasta parte delle azioni sarà offerta, almeno inizialmen­te, agli investitor­i domestici, come facciamo spazio per questi asset nei loro portafogli? Qui giunge in tutta la sua importanza la necessità

Questo processo lo richiede Maastricht, facciamolo prima noi Ma va deciso da un esecutivo forte e stabile Ridurremo il debito

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