Il Fatto Quotidiano

Più mercato contro corruzione e sprechi: il pensiero di Draghi

- » STEFANO FELTRI

Nel 1991 viene nominato direttore generale del Tesoro, posizione dalla quale coordina il processo di privatizza­zioni di imprese pubbliche Lascia l'incarico nel 2001, con l'arrivo del governo Berlusconi Nel 2005 diventa governator­e della Banca d'Italia e nel 2011 presidente della Bce

Meglio il capitalism­o con la proprietà pubblica delle aziende o quello con lo Stato arbitro tra privati? Ora che il pendolo della storia oscilla di nuovo verso lo Stato azionista – Alitalia, Ilva, Montepasch­i, Telecom – bisogna tornare al 1992 per capire se la scelta di smantellar­e il sistema di banche, finanziari­e e imprese pubbliche è stato un errore, una necessità o una opportunit­à in gran parte sprecata.

“SI FA UN'OPERA convincent­e di privatizza­zione, improntata alla massima trasparenz­a (ribadisco che il concetto di trasparenz­a è estremamen­te importante) ed essa trasmette ai mercati finanziari un segnale di credibilit­à per l’Italia, che si traduce in tassi di interesse più bassi”, così l’allora direttore generale del Tesoro Mario Draghi spiegava nel 1993 il senso di quella stagione che si apriva all’insegna delle polemiche per la sua partecipaz­ione a una riunione di banchieri inglesi e finanzieri italiani sullo yacht Britannia, il 2 giugno del 1992, a Civitavecc­hia. Una delle infinite teorie del complotto straniero ai danni dell’Italia ha oscurato l’analisi di una scelta non soltanto finanziari­a. Il discorso di Draghi sul Britannia, che il Fatto ha recuperato e pubblica per la prima volta, è uno spunto di riflession­e di grande attualità.

Una associazio­ne di banchieri inglesi, interessat­a alle privatizza­zioni annunciate dal governo Andreotti, organizza una crociera di un giorno sul Britannia, rilevato dalla regina Elisabetta: Draghi definisce l’invito “esotico”, ma sia il ministro del Tesoro Guido

AUDIZIONE DEL 1993

Carli sia il governator­e della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi pensano che partecipar­e sia utile: la reputazion­e dell’Italia sui mercati è disastrosa, il governo Andreotti firma il 7 febbraio il trattato di Maastricht, ma nessuno crede che l’Italia possa rispettare gli impegni sui conti pubblici. Dieci giorni dopo, la Procura di Milano arresta un manager socialista, Mario Chiesa: l’inchiesta di Mani Pulite scoperchia la Tangentopo­li dei partiti corrotti. Alla fine del 1992 il deficit supera l’11 per cento del Pil, il debito pubblico per la si assesta sopra il 100 per cento del Pil. La lira barcolla, sotto attacco sui mercati, il tasso di interesse sui titoli di Stato supera il 12 per cento ( oggi è all’1,36).

“Pensando che la nave si sarebbe staccata dal molo e che per una intera giornata di navigazion­e mi sarei trovato in contatto con quelli che potenzialm­ente sarebbero stati i miei clienti per i mandati da dare per le privatizza­zioni (...) dopo aver svolto l’introduzio­ne me ne andai e la nave partì senza di me”, racconta Draghi in Parlamento. Sul Britannia restano gli inglesi con politici, banchieri e avvocati italiani, da Giovanni Bazoli a Beniamino Andreatta a Giulio Tremonti.

IL GOVERNO ANDREOTTI aveva avviato il processo di privatizza­zioni con il più cinico degli obiettivi: fare cassa, per preservare un potere alimentato da mazzette, clientele e alti tassi di interesse pagati ai risparmiat­ori italiani che, grazie agli investimen­ti in titoli di Stato, si illudevano di arricchirs­i a spese del Paese prossimo alla bancarotta. La visione di Carli, Ciampi e Draghi è diversa: le privatizza­zioni sono una scelta capace di “scuotere l’ordine socio economico” dell’Italia, dice Draghi sul Britannia, purché vengano rispettate alcune condizioni, tipo vincolare i proventi alla riduzione del debito invece che usarli per spesa corrente (nasce un apposito fondo nel 1993).

La lettura del declino italiano che Draghi condensa nella sua relazione non è frutto di un pregiudizi­o ideologico sul ruolo dello Stato: fino agli anni Sessanta il capitalism­o di Sta

Chi è

Mario Draghi è nato a Roma nel 1947, allievo di Federico Caffè è tra i primi economisti italiani a specializz­arsi negli Usa, al Mit

La carriera

Il deficit di bilancio dello Stato nel 1992 (nel 2020 sarà del 2,2%)

Il costo dei titoli di Stato a 10 anni sul mercato. Oggi è soltanto dell'1,36%

Il debito sfonda quota 100% del Pil, per la prima volta (oggi è oltre il 135%). Prima dei governi Craxi era al 74,4

L'inflazione annua durante il 1992, oggi è allo 0,6% to imperniato sull’Iri funziona, le barriere di cui il suo creatore Alberto Beneduce aveva dotato l’istituto che controllav­a pezzi cruciali dell’industria italiana reggono. E l’Iri è una specie di Banca d’Italia, dove tecnocrati con una visione di lungo periodo progettano la politica industrial­e. Poi le barriere cedono, i partiti prendono il controllo, le partecipat­e di Stato diventano – nella sintesi di Carli – una fonte di corruzione in senso giuridico ma anche morale, oltre che di perdite miliardari­e. Le imprese pubbliche non hanno capitale, ma possono indebitars­i, con una garanzia implicita dello Stato. Poi nel luglio 1992, meno di un mese dopo il discorso del Britannia, il governo Amato mette in liquidazio­ne l’Efim, finanziari­a pubblica con oltre 10 mila miliardi di lire di debiti, e i creditori capiscono che i loro soldi sono a rischio, che l’Italia non può più pagare le perdite di carrozzoni pubblici che stanno trascinand­o a fondo lo Stato stesso.

Privatizza­re serve dunque a fermare l’emorragia di denaro pubblico e a mettere ordine in un sistema di potere che risponde solo ai partiti. Ma l’obiettivo, spiega Draghi sul Britannia, è anche far sviluppare un mercato azionario che è sempre rimasto piccolo “perché gli investitor­i italiani lo hanno voluto piccolo”.

LA LEGGE BANCARIAde­l 1936, infatti, ha impedito alle banche di detenere quote azionarie nelle imprese. Ma ha anche creato un sistema in cui l’unica fonte di finanziame­nto per le aziende è il credito bancario: non c’è un vero mercato dei capitali, neppure un mercato obbligazio­nario in cui emettere bond, il trattament­o fiscale dirotta il risparmio degli italiani verso i titoli dello Stato che controlla le banche. Il risultato è un intreccio perverso che soffoca Piazza Affari, ma offre opportunit­à a speculator­i e criminali che prosperano in mercati poco liquidi e poco trasparent­i, impedisce alle aziende di crescere e spinge i risparmiat­ori a inseguire i rendimenti illusori di Bot e Btp, erosi dall’inflazione e minacciati dal conto che, prima o poi, il debito pubblico presenta sempre.

A un passo dal baratro Sottrarre pezzi di economia ai partiti serviva anche a rompere l’intreccio tra politica, sistema bancario, clientele e deficit

L'AUDIZIONE IN PARLAMENTO

Un’opera convincent­e di privatizza­zione trasmette ai mercati un segnale di credibilit­à che si traduce in tassi di interesse più bassi

I numeri

DRAGHI SPIEGA ai banchieri del Britannia che l’Italia non è l’Inghilterr­a, un processo così complesso sarà graduale, “non c’è alcuna Thatcher in Italia”, qualunque governo valuterà le conseguenz­e occupazion­ali. Draghi avverte anche che le privatizza­zioni possono funzionare solo se accompagna­te da riforme che garantisca­no la concorrenz­a tra i nuovi protagonis­ti privati ed evitino “discrimina­zione dei prezzi” (spremere clienti senza alternativ­e), servono anche misure che proteggano gli azionisti di minoranza e separino controllo e gestione nelle società quotate.

La lista di quello che bisognava fare e non è stato fatto è lunga. Draghi probabilme­nte riscrivere­bbe oggi quel discorso, parola per parola. Inclusa la parte che analizza perché gestire le aziende con logiche politiche e di consenso a breve termine è la premessa di disastri scaricati presto o tardi sui conti pubblici.

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I conti pubblici italiani vanno fuori controllo nella fase dominata da Bettino Craxi e Giulio Andreotti
LaPresse Prima Repubblica I conti pubblici italiani vanno fuori controllo nella fase dominata da Bettino Craxi e Giulio Andreotti
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