“È stato una pietra d’inciampo per il pensiero”
Il collega ricorda l’amico e “avversario”, “un intellettuale scomodo che ancora ci turba”
Professor
Vattimo, che cosa ci lascia oggi Emanuele Severino?
Lascia in eredità un pensiero che provoca, su cui tra l’altro io non ero assolutamente d’accordo. Era un personaggio che si collegava molto profondamente, anche con ambizione, alla tradizione metafisica occidentale, che molti considerano obsoleta. È una figura che scomoda, che disturba la nostra tranquillità postmoderna: è un masso erratico, rimasto lì dalla tradizione, che continua a provocarci. Io ero suo amico, ma questo quasi mi disturba.
Il mondo scientifico l’ha spesso criticato...
Certo, perché rappresentava una tradizione italiana, da Croce in poi, che, pur avendo studiato filosofia della scienza, non ha mai preso sul serio come fatto filosofico i risultati delle scienze positive. Su questo sono d’accordo con lui: lamentare la mancanza di scientificità della filosofia è un modo positivistico di liquidarla, sostenendo che c’è solo sapere scientifico, sperimentale, calcolabile; così però il mondo sarà solo quello della tecnologia dominante, il nemico di Severino.
E le critiche dei cattolici? Benché provenisse da quel mondo, non è mai stato amato perché non s i considerava più religioso: il suo classicismo lo conduceva a una forma di razionalismo estremo, metafisico, non scientifico. La sua idea dell’essere come immutabile escludeva ogni idea di miracolo, così come l’intervento di Dio nella storia.
Cosa resta della sua riflessione sul dominio della tecnica e la fine dell’umano? È la stessa di Heidegger: attenzione che la razionalizzazione scientifica del mondo è una trappola, toglie libertà. Sembrava una profezia, ora è realtà.
È un bene? Secondo Severino no, e anche secondo me.
E la sua eredità culturale, per noi comuni mortali?
Io mi sento un comune mortale: il suo richiamo alle radici profonde della nostra tradizione metafisica è in contrasto con la superficialità dei tempi, con la chiacchiera quotidiana. Questo insegna.
Ha lasciato allievi o scuole? Cacciari è un suo discepolo ideale, anche se non so fino a che punto sia d’accordo con lui, e poi c’è chi lo prende molto sul serio. Diciamo così: ha lasciato una scuola, ma non ha avuto quell’eco mondiale che si aspettava, perché il suo era un pensiero molto poco commestibile, inattuale, che deve ancora essere studiato, consumato, applicato.
Dalle colonne del Corriere Severino è stato anche una voce per la società civile. Sì, godeva di un prestigio molto alto, ma dal punto di vista dei risultati politico-culturali mi sembra debole, se non nella polemica contro il nichilismo della tecnica: non c’è un progetto di società severiniano, per esempio. È stato un intellettuale impegnato, e molto, nel senso che seguiva gli eventi, ma non l’ho mai sentito come un maestro per quanto riguarda l’attualità delle questioni politico-culturali. Forse per colpa dei lettori: era ostico nella scrittura...
È vero, ma è andata così.
Che senso e ruolo ha oggi il filosofo nella società?
Io faccio questo mestiere, ma non lo so. Il filosofo dovrebbe essere più ascoltato, ma vedo con terrore che la filosofia diventa sempre meno importante nell’insegnamento ed è una perdita oggettiva della nostra tradizione culturale. Severino su questo sarebbe stato d’accordo.
Quindi di cosa dobbiamo essere grati a Severino? Della sua testardaggine: è stato così costante nella sua provocazione filosofica da diventare un’importante pietra d’inciampo per il pensiero, con cui bisogna continuare a fare i conti.
Il suo richiamo alle radici profonde della nostra tradizione si oppone a chiacchiere e superficialità dei tempi
Nemici Pur provenendo dal mondo cattolico, non è mai stato amato: escludeva ogni idea di miracolo