Il Fatto Quotidiano

“Armi da guerra contro Gratteri”: scorta rafforzata al procurator­e

L’allarme Uno scambio di favori tra boss per uccidere il magistrato Vetri antiproiet­tile in ufficio e una jeep blindata per gli spostament­i

- MUSOLINO

La ’ndrangheta vuole ancora uccidere il procurator­e di Catanzaro, Nicola Gratteri. Nei confronti del magistrato calabrese sarebbe pronto un attentato in grande stile. È quanto emerge da alcune indagini che rivelano come alcuni boss abbiano messo a punto un piano per assoldare un killer contro il magistrato. E così di conseguenz­a la scorta nei suoi confronti è stato rafforzata.

Le nuove minacce spiegano anche perché in occasione della manifestaz­ione del 18 gennaio, quando circa duemila persone si sono riunite davanti alla Procura per esprimere solidariet­à a Gratteri, sul terrazzo del palazzo di giustizia di Catanzaro fossero schierati i cecchini dei Carabinier­i e della polizia di Stato. Quella mattina la tensione era altissima. Era stata intensific­ata la videosorve­glianza su piazza Matteotti dove il dispositiv­o di sicurezza ha compreso anche i cani anti-esplosivo. Il rischio era che quello fosse proprio il giorno stabilito per l’agguato.

LA GIORNATA è filata liscia, ma non è cessato l’allarme di cui si è discusso durante il Comitato provincial­e per l’ordine e la sicurezza pubblica, presieduto dal prefetto Francesca Ferrandino. All’incontro tenuto il 14 gennaio, c’erano i vertici delle forze dell’ordine e della magistratu­ra che, proprio in quelle ore, stavano valutando gli elementi investigat­ivi emersi in alcune recenti attività di indagine.

In sostanza, secondo quanto risulta al Fatto, stando alle indagini alcuni boss di una cosca operante nel distretto di Catanzaro hanno chiesto agli esponenti di una famiglia mafiosa alleata di occuparsi dell’organizzaz­ione di un attentato contro Gratteri e la sua scorta.

Si tratterebb­e di uno scambio di favori tra boss che avrebbero deciso di utilizzare armi da guerra. Negli ambienti investigat­ivi si parla di un fucile ad alto potenziale che, stando alle indiscrezi­oni, dovrebbe finire in mano a un killer, già assoldato ed esperto nell’utilizzo di questo tipo di armi.

Come è ovvio c’è il massimo riserbo sui nomi dei mandanti e degli esecutori. Non è escluso, però, che gli inquirenti si siano già fatti un’idea più precisa sul contesto in cui è maturato il progetto di attentato. Saranno le indagini a fornire ai magistrati un quadro più chiaro della situazione. Proprio in queste ore, infatti, gli investigat­ori stanno cercando elementi per definire i contorni di un rischio che i bene informati giudicano reale anche se nessuno è in grado di sapere quanto imminente.

NEL DUBBIO, il Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica intanto ha deciso di rafforzare la scorta del procurator­e Gratteri a cui il ministero della Giustizia ha subito sostituito le macchine blindate. In Calabria, infatti, sono arrivate due Jeep corazzate a prova di bomba e la Prefettura ha disposto pure la blindatura delle finestre del suo ufficio che si affaccia sulla piazza “Falcone e Borsellino”. Gratteri non intende commentare la situazione.

La notizia del progetto di attentato arriva a poche settimane dagli oltre 300 arresti che la Dda di Catanzaro ha eseguito nell’ambito dell’operazione “Rinas citaScott” contro la cosca Mancuso e i suoi referenti politici. Anche a causa di quell’inchiesta, è un periodo in cui Nicola Gratteri subisce attacchi da più fronti. Il magistrato sembra sempre più isolato sia dalla politica che da alcuni colleghi. In queste settimane, infatti, è stato maggiormen­te esposto e bersaglio di polemiche che gli sono state mosse sia da politici, come la deputata Enza Bruno Bossio (alla quale ha indagato il marito Nicola Adamo), che dagli stessi ambienti giudiziari.

Già provato dall’inchiesta sul procurator­e aggiunto Vincenzo Luberto e dall’arresto del giudice della Corte d’appello Marco Petrini, entrambi indagati per corruzione, il palazzo di giustizia di Catanzaro è ancora scosso dalle parole del procurator­e generale Otello Lupacchini che, all’indomani dell’inchiesta “Rinascita”, in diretta con il TgCom ha bollato come “evanescent­i” le indagini di Gratteri. Dichiarazi­oni pesantissi­me e per le quali il ministro Alfonso Bonafede e il Pg della Cassazione Giovanni Salvi hanno chiesto alla sezione disciplina­re del Csm di trasferire d’ufficio Lupacchini.

VELENI DI PALAZZOa parte, non è la prima volta che il procurator­e Gratteri si trova a fare i conti con la reazione dei clan. Antonio Ribecco è finito in carcere con l’accusa di essere il referente della cosche crotonesi a Perugia. Il 27 maggio 2017 è stato intercetta­to con il fratello. La conversazi­one cade subito su Gratteri: “Questo se non lo fermano, li piglia tutti”.

C’è poi un’altra intercetta­zione che risale all’anno scorso in cui il magistrato è stato paragonato a Falcone e definito “un morto che cammina”: “Guaglio’ uno di questi… na botta… uno di questi è ad alto rischio ogni secondo… Eh… Falcone come è stato. Quando ha superato il limite… se lo sono cacciato”.

Le indagini

I mafiosi avrebbero deciso di affidare un fucile ad alto potenziale a un killer esperto

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Ansa Procurator­e capo di Catanzaro Nicola Gratteri, 61 anni

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