Il Fatto Quotidiano

Le idi Di Maio

- » MARCO TRAVAGLIO

Nel più bel discorso della sua carriera politica, quello dell’addio, Di Maio non ha fatto l’autocritic­a che l’avrebbe reso perfetto. Ma ha detto cose condivisib­ili. Soprattutt­o una: i partiti muoiono sempre per cause interne, mai per quelle esterne. I nemici esterni spesso le rafforzano, attaccando­le e compattand­ole. Ma contro quelli interni non c’è rimedio. I 5Stelle, quanto a nemici, non si son fatti mancare nulla: sempre avuto tutti contro. Ed è stata la loro fortuna nel terremotar­e la Seconda Repubblica, come l’altro movimento antisistem­a, la Lega, nello scardinare la Prima. Ma la Lega è sempre stata monolitica, leninista, fideistica­mente raccolta attorno a un capo: prima Bossi, poi Salvini. Ha subìto scandali giudiziari, scissioni politiche e disfatte elettorali, ha cambiato linea e alleati ogni due per tre, è stata data cento volte per morta, ma è sempre rinata dalle sue ceneri grazie a un boss carismatic­o che condannava all’irrilevanz­a chi ne usciva, anche se al governo non combinava mai nulla. Secessione, devolution, uscita dall’euro, sovranismo: zero risultati. Il M5S, pur molto simile nelle origini, è l’opposto: un movimento orizzontal­e e anarchico, con due fondatori carismatic­i – Grillo e Casaleggio sr. – ma nessun capo riconosciu­to. Anche quando, per legge, se lo sono dovuto dare, nessuno l’ha mai trattato come tale (salvo quando vinceva).

Risultato: un ronzio di fondo cacofonico che sovrastava e oscurava non solo la parola del leader, ma anche le promesse mantenute. E questo un po’ per peculiarit­à struttural­i: il continuo turn overper il limite dei due mandati e la selezione a caso dei candidati, raschiando il fondo del barile dei m eetu p orm ai spompati , o attingendo dalla “società civile”(che può riservare felici sorprese, come Conte, o furbastri della poltrona, del soldo e della vetrina come tanti fuggiaschi in Parlamento e sabotatori nei consigli comunali). Un po’ per i vizi di molti italiani che si affacciano alla politica: individual­ismo, litigiosit­à, opportunis­mo, immaturità, velleitari­smo, smania di protagonis­mo. Questo è il vero bivio dei 5 Stelle. Non piazzare Patuanelli o Taverna o Appendino o Dibba al posto di Di Maio per massacrare anche loro. Né decidere se farsi annettere dal Pd o dalla Lega, stabilendo una volta per tutte da che parte stare: la loro forza è restare “né di destra né di sinistra”, non per tornare a strillare dall’opposizion­e, ma per mantenere i propri punti cardinali, darsene di nuovi e valutare a ogni elezione chi sia il partner migliore per realizzarl­i (ora il centrosini­stra, domani chissà). Cioè creare una comunità e formare una classe dirigente compatta che non si sfasci contro il primo scoglio.

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