Il Fatto Quotidiano

Bel film di Cretton, brutta Tempest e Mantegna rinato

IL FILM DA VEDERE Il diritto di opporsi Destin D. Cretton

- FEDERICO PONTIGGIA @fpontiggia­1

La certezza della pena ( di morte), l’incertezza della giustizia: in mezzo, Il diritto di op

porsi , titolo italiano di Just

Mercy, il fortunato memoir dell’avvocato afroameric­ano Bryan Stevenson (edito in Italia da Fazi) e ora anche il film diretto dall’h awa ia no Destin Daniel Cretton.

INCARNATO da Michael B. Jordan (Creed), Bryan si laurea ad Harvard e anziché inseguire ricche parcelle si dirige in Alabama a rappresent­are pro bono le persone condannate ingiustame­nte ovvero difese malamente: supportato dall’attivista locale Eva Ansley (Brie Larson), fonda la Equal Justice Initiative e s’imbatte nel caso di Walter McMillian ( Foxx), che nel 1987 finisce nel braccio della morte per l’efferato omicidio di una diciottenn­e bianca. Il movente è razziale, non quello dell’omicidio però, bensì quello dell’i n d iv i d ua z i on e del “colpevole”: Walter ha avuto una relazione extraconiu­gale con una donna anglosasso­ne e, in soldoni, la deve pagare.

Complice la testimonia­nza mendace e coatta del balordo Ralph Myers (Tim Blake Nelson), l’innocente Johnny D, come è soprannomi­nato McMillian, attende la sedia elettrica a Monroevill­e, dove ebbe i natali Harper Lee, la scrittrice premio Pulitzer de

Il buio oltre la siepe: anche qui, il titolo originale viene metaforica­mente meglio, To Kill a

Mockingbir­d , “Uccidere un

usignolo”.

Bryan prima conquista la fiducia di Johnny D, poi inizia a lottare contro un sistema, e un concorso di colpa, ipocrita e brutale: “Il contrario della povertà – sosterrà al Senato – non è la ricchezza, bensì l’ingiustizi­a”. Razzismo e sperequazi­one a triangolar­e, non sarà facile venirne a capo, sebbene le prove depongano a favore di McMillian e la trama cospirator­ia si sveli: che cosa chiamiamo giustizia, e perché vige ancora la pena di morte? Interrogat­ivi affidati a un film di dichiarato, genuino impegno civile, issato sulle spalle solide ed eroiche – al limite dell’agiografia – dell’avvocato Stevenson e ingentilit­o dalla prova emotiva ed emozionant­e di Jamie Foxx, che conferma di essere attore superiore, anche se al cospetto di un Jordan mono-espressivo e una Larson anodina è fin troppo facile. Foxx eleva il

court drama dal diligente ed edificante compitino morale, da dietro le sbarre ci appassiona umanamente al caso McMillian e, sì, istilla il dubbio: non meritava la nomination agli Oscar quale attore non protagonis­ta? La risposta è positiva, ma addebitare all’# OscarsSoWh­itela sua assenza sarebbe stolidamen­te geometrico, se non stolto tout

court: la diversity non abiterà i 92esimi Academy Awards, ma con le “quote nere”, cui dobbiamo qualche singolare

exploit afroameric­ano, nelle ultime edizioni come la mettiamo? Sui titoli di coda scorrono fotografie e destini dei reali protagonis­ti, le lacrime di Foxx da raccoglier­e e conservare, e un’allarmante consideraz­ione da portare a casa: certo, gli avvocati non sono tutti uguali, ma nemmeno la legge è uguale per tutti. Dal 30 gennaio in sala.

Un nero condannato a morte per un delitto che non ha commesso

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