“Qui si accettano cani e porci: convertirsi all’ebraismo è facile”
Il dialogo tra Ovadia e Vergassola
Dal 30 gennaio, in libreria con Chiarelettere “Se vuoi dirmi qualcosa, taci. Dialogo tra un ebreo e un ligure sull’umorismo”. Protagonisti, Moni Ovadia e Dario Vergassola. Ne pubblichiamo un’anticipazione dal capitolo “Cani e porci”.
Da rio: Senta, Moni: l’ebraismo ortodosso è riluttante ad accettare le conversioni. Come mai da voi c’è più selezione all’ingresso che nel privé del Covo di Nord-est? Come mai non si può entrare che manco la P2?
Moni: No, all’ebraismo ci si può convertire, e tra l’altro sono state accettate alla conversione persone...
D.: Cani e porci.
M: Non si indaga sulla famiglia di nessuno. Per esempio, il figlio del grande gerarca nazista Martin Bormann, il segretario di Hitler, si è convertito all’ebraismo in Israele ed è diventato anche un rabbino ortodosso.
D.: Ma l’avrà fatto per provare l’ebbrezza?
M: Però è vero che non sono favorite le conversioni, perché è un po’ come dire “essere negro non ti bastava?” Il sottotesto è: ma chi te lo fa fare? Ti senti bene? Detto questo, però, alla fine vengono accettate. Ci sono diverse conversioni. Quelle ortodosse richiedono molti anni, dai dieci ai tredici anni di studio e di preparazione. Lo dico con una storiella così si chiarisce. Come si distingue una sinagoga ortodossa da una sinagoga conservative, che è un primo livello di riforma, e da una sinagoga liberal? Basta andare ai matrimoni. Al matrimonio della famiglia chassidica, la madre della sposa è incinta, perché fanno figli in continuazione; nella cerimonia conservative, è in cintala sposa; nella sinagoga liberal, è incinta il rabbino, perché abbiamo le donne rabbino.
D.: Nella parrocchia cattolica, invece, stanno mettendo incinta la sposa.
M: Comunque si accetta la conversione, e alcuni convertiti sono stati fra i più grandi maestri dell’ ebraismo ...
D.: Perché sono partiti con passione.
M.: ...Convertiti e figli di convertiti, perché in realtà il patriarca di tutti i convertiti è Abramo, poiché è stato il primo a passare da una condizione di idolatra a una condizione di monolatra, fino a diventare il patriarca dei monoteisti. Dunque le conversioni sono accettate, però sono impegnative. Naturalmente, ci sono anche rabbini corrotti.
D.: Però si diventa ebrei per via materna, che tra l’altro è una bellissima coincidenza, perché anche da noi in realtà il padre non conta una mazza. È la madre quella che porta avanti tutta la baracca.
M: Sì, è così. La madre trasmette l’identità ebraica, perché l’etica ebraica ritiene che il ventre materno sia in grado di trasformare le tenebre in luce. Per cui non esiste lo stupro etnico, nell’ebraismo: il figlio della madre ebrea è ebreo. Il padre potrebbe essere un nazista, un kirghiso, un turkmeno... non ha importanza. Il padre non conta niente, nell’identità ebraica.
D.: Quando nasce è ebreo, non c’è niente da fare.
M: Sì, quando nasce da madre ebrea. Ma, perfino se lei potesse dimostrare che nella sua linea matrilineare dieci generazioni fa c’era una donna ebrea e che da quella donna sono discese da donna in donna fino a sua madre, anche se tutte le altre non sono state ebree e hanno praticato altre religioni, lei può rivendicare di essere ebreo.
D.: Cioè è come una cosa dormiente, che però ha un seguito.
M: Comunque la conversione è accettata, fino al punto che il più famoso convertito è stato un generale romano, nipote dell’im per ato re
Tito che lo aveva mandato a reprimere la Giudea. Lui si innamorò dell’ebraismo e si convertì. Si chiamava Onkelos, e il suo commentario alla Bibbia è considerato uno dei più importanti punti di riferimento della tradizione.
D.: Okay. Non l’ho interrotta perché questa la sapevamo già.
M: Certo, son cose di normale amministrazione.