Eternit, il magnate insulta l’Italia e si becca un altro rinvio a giudizio
L’ex ceo della fabbrica della morte di Casale Monferrato accusato di omicidio volontario per 392 decessi a causa dell’amianto
Rinviato a giudizio per omicidio volontario. Accusato della morte di 392 persone esposte all’amianto a Casale Monferrato. Il miliardario svizzero, Stephan Schmidheiny, mister Eternit, torna a processo. Lo ha deciso ieri il gup Fabrizio Filice di Vercelli. Adesso il processo – vista l’accusa di omicidio volontario – passa alla Corte d’assise e si sposta a Novara. La prima udienza è fissata il 27 novembre. Ma se il capo di imputazione non dovesse cambiare, stavolta Schmidhieny non potrà contare sulla prescrizione. Gli avvocati Astolfo Di Amato e Guido Alleva avevano chiesto l’archiviazione: “Siamo delusi, ma il processo non finisce qui”. Opposta la reazione dei familiari delle vittime di una tragedia che in Italia ha provocato oltre duemila morti. Che ha segnato la vita di Casale Monferrato, dove ogni settimana si celebrava il funerale di una vittima dell’amianto. Una tragedia che non è ancora finita: “Tutti hanno diritto ad avere giustizia”, commenta Nicola Pondrano, ex lavoratore di Eternit rappresentante della Afeva, Associazione familiari vittime dell’amianto. Aggiunge: “Se Schmidheiny fosse stato giudicato per omicidio colposo avremmo perso per via della prescrizione l’80 per cento della rappresentanza delle 392 persone morte per mesotelioma. Adesso, anche se l’imputazione è delicata, lotteremo”.
Il procedimento Eternit Bis è diviso in quattro tronconi: a Torino (competente per lo stabilimento di Cavagnolo) nel maggio scorso Schmidheiny è stato condannato in primo grado a quattro anni con l’accusa di omicidio colposo per la morte di due dipendenti. Già allora la reazione fu dura: “È il capro espiatorio dell’inerzia dello Stato italiano”, disse un collaboratore di Schmideiny. Poi c’è Napoli, dove il processo riguarda la morte di sei operai e di alcuni familiari. Per i fatti riguardanti la sede Eternit di Rubiera è invece competente il tribunale di Reggio Emilia. Il quarto troncone, quello più importante, riguarda Casale.
Per Schmidheiny è, appunto, il secondo processo. Nel 2013 la Corte d’Appello di Torino lo aveva condannato a 18 anni di reclusione per disastro ambientale. Accusa che la Cassazione l’anno successivo aveva dichiarato prescritta: “La prescrizione non risponde a esigenze di giustizia ma ci sono momenti in cui diritto e giustizia vanno da parti opposte”, aveva detto allora il sostituto procuratore della Cassazione Francesco Iacoviello.
Pareva una dichiarazione di resa per la giustizia che da anni si occupa delle oltre 2000 persone uccise dall’amianto “respirato” in quattro fabbriche. “Per me – aveva detto Iacoviello – l’imputato è responsabile di tutte le condotte che gli sono state ascritte”, ma il problema è “che il giudice tra diritto e giustizia deve sempre scegliere il diritto”.
Prescrizione, quindi. Anche se la decisione della Cassazione era stata molto discussa. Il nocciolo della questione è stabilire il momento da cui far scattare l’inizio della decorrenza dei termini di prescrizione. Per la Cassazione bisogna considerare il momento in cui è avvenuta l’esposizione all’amianto. Per i magistrati piemontesi – l’accusa era affidata al pm Raffaele Guariniello – occorre invece partire da quando si manifesta la malattia, considerando che l’amianto continuerà a provocare vittime fino al 2040. Altrimenti, sostennero in aula i pubblici ministeri, molti reati di disastro ambientale, sarebbero destinati alla prescrizione.
In certi casi – come per il mesotelioma che ha un periodo di latenza molto lungo – si verificherebbe il paradosso che gli effetti del reato diventerebbero manifesti a prescrizione già avvenuta.
Se il reato fosse stato l’omicidio colposo avremmo perso per prescrizione l’80 per cento delle vittime Adesso lotteremo EX LAVORATORE ETERNIT
La strage continua In città ogni settimana si celebra il funerale di una delle vittime