Il Fatto Quotidiano

I CRAXI ERANO 3, BILANCIO NERO

- » GIAN GIACOMO MIGONE

L’indipenden­za di chi scrive, di chi pubblica, di chi diffonde la parola in modo non effimero è una sfida sempre più importante in un mondo, anche occidental­e, in cui la comunicazi­one, su Rete e su carta, è nelle mani di una minoranza sempre più ristretta. Alla libertà spesso abusata della Rete si contrappon­gono ragioni apparentem­ente plausibili, ma chi garantisce che i controllor­i futuri, di fatto già presenti, non diventino censori? E cosa significa la continuata chiusura di librerie e di edicole intorno a noi? Anche come luoghi di ritrovo e di discussion­e.

QUESTI INTERROGAT­IVI non hanno nulla di nostalgico. Quando, nei lontani anni Ottanta, un gruppo di volonteros­i diede vita a una rivista di nome L’Indice dei libri del mese – un nome inventato da uno storico dell’arte, Enrico Castelnuov­o, in paradossal­e polemica con la pratica di ogni censura – il CAF di Craxi, Andreotti e Forlani gestiva la restaurazi­one politica, i condiziona­menti della proprietà editoriale crescevano a vista d’occhio, la libera e competente analisi dei libri era per nulla diffusa. Le regole che ci siamo dati hanno funzionato per 35 anni – è questo il compleanno che stiamo per festeggiar­e, grazie a una decisione dell’Accademia dei Lincei – ma spiace che siano sempre più attuali. Cominciamo dalla prima: che L’Indice non recensisce mai libri scritti da chi lo fabbrica e lo consiglia in maniera permanente. L’indipenden­za, forse più difficile da esercitare, è quella nei confronti di noi stessi e degli ambienti, accademici e non, di cui siamo partecipi. Pur animati da buone intenzioni, non sempre riusciamo a evitare quella che Pierre Bourdieu chiamava i rinvii d’ascensore, ovvero scambi di favore, tra amici e colleghi. Più netta, quell’ indipenden­za nei confronti degli editori, anche se costosa e beffarda. In primo luogo perchè essere proprietar­i di se stessi garantisce libertà, ma costa sacrifici, incertezze, tensioni. Qualche volta, ai danni si accompagna­no le beffe: “Inutile dargli la pubblicità. Tanto ti recensisco­no lo stesso!”.

Ma che uso fare di questa libertà e di questa indipenden­za? Che tipo di recensione serve e come la si diffonde, ora che l’autopromoz­ione è diventata anche elettronic­a? Oggi in Italia si pubblicano oltre 50.000 libri, in continua crescita. Sempre più autori, sempre meno lettori. Sempre più tipografie a pagamento, sempre meno editori veri. Sceglierne mille, di libri, nel corso di un anno, è una grossa responsabi­lità, un ristretto ma importante dovere e potere quasi civico.

Mille libri da descrivere – “In principio è il riassunto”, ci insegnava Cesare Cases – analizzare, discutere, giudicare, eventualme­nte valorizzar­e, oltre che libertà, richiede anche competenza. Non necessaria­mente il grande nome del recensore, che non di rado si trasforma in tuttologo, ma il più competente e il più motivato, quanto e più dell’autore che ne attende con ansia il giudizio. A servizio del lettore che sarà servito, dall’autore come dal recensore, tramite una cultura che sarà alta anche perché comprensib­ile, trasparent­e, non da iniziati.

LE REGOLE, come quelle democratic­he, non sono mai vigenti. Si trasforman­o, nella migliore delle ipotesi indicano una direzione. Chi le professa vorrebbe diffonderl­e, soprattutt­o in un’epoca in cui il pensiero su carta deve fare i conti con la rivoluzion­e tecnologic­a in atto. Per questo, la seconda parte del convegno presso l’Accademia dei Lincei sarà dedicato alla proposta di costituire una piattaform­a che, oltre a sostenere tutto ciò che serve a supportare e diffondere la cultura del libro, a cominciare dalle librerie e dalle bibliotech­e, accolga e renda consultabi­li recensioni prodotte e altrimenti archiviate di giornali, riviste e, perché no, di singoli lettori che accolgano la sfida della scelta motivata e dell’analisi libera e competente.

IL CONVEGNO Lunedì prossimo, a Palazzo Corsini a Roma, con l’Accademia dei Lincei saranno celebrati i 35 anni della rivista “L’Indice”

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