Il Fatto Quotidiano

BETTINO L’“INFAME” SI BEVVE MILANO

Durante Tangentopo­li ricordai che c’era stato anche un altro Craxi, che aveva acceso grandi speranze in molti. Adesso, però, non posso accettare la santificaz­ione di un uomo politico che, a conti fatti, è stato deleterio per il Paese

- » MASSIMO FINI

Ora che le beatificaz­ioni, le santificaz­ioni e la contrappos­ta, inesorabil­e, damnatio memoriae vanno fatalmente a sfumare, anche se la figlia Stefania, testarda, sfinendosi, e sfinendoci, vuole fare dell’intero 2020 un ‘anno craxiano’, noi che socialisti libertari lo siamo stati e lo rimaniamo, perché coniugare le libertà civili con una ragionevol­e giustizia sociale ci sembra ancora l’idea più bella, cercheremo di fare qui un ritratto del leader socialista il più equanime che ci è possibile.

Credo che la vita politica di Craxi vada distinta in tre fasi. Nella prima, estremamen­te positiva, il segretario del Psi toglie al Partito socialista lo storico inferiorit­y complex nei confronti di quello comunista (non per nulla la microcorre­nte di cui era a capo prima dell’elezione del Midas si chiamava Autonomia) e cerca di mettere il suo partito sulla strada di una moderna socialdemo­crazia europea. Anche i finanziame­nti illeciti, utilizzati già dai tempi di De Martino e Mancini, assumono in questa fase un colore, per così dire, diverso da quelli che sarebbero stati in seguito. Il Psi era stretto nella morsa del Pci che riceveva i soldi dall’Unione Sovietica (“l’oro di Mosca”) e la Dc che li aveva dalla Cia. Autofinanz­iarsi, sia pur illegalmen­te, in una situazione come quella diventava necessario per sopravvive­re. “Primum

vivere, deinde philosopha­ri” mi spiegò anni dopo Claudio Martelli che era stato mio compagno di banco al Carducci.

Seconda fase. Il socialismo è una sorta di proseguime­nto laico del Cristianes­imo, è la difesa, per dirla con Dostoevski­j, degli “umiliati e offesi”. È ovvio che con i cambiament­i sociali cambia anche la categoria degli “umiliati e offesi” che non possono essere più solo gli operai sulla via di una lenta estinzione, ma non possono essere nemmeno i visagisti, i coiffeur famosi, gli architetti dalla rosea faccia di culo, le Ripe di Meana, insomma il partito dei “nani e delle ballerine” come lo definì il compagno Rino Formica, che non a caso è uno dei pochi socialisti che, insieme a Ugo Intini, non risulta abbia rubato. Insomma il Psi abbandona la difesa dei ceti medi, i nuovi “umiliati e offesi”.

Inoltre Craxi elimina ogni dibattito all’interno del partito. Se in quegli anni uno, essendo di sinistra, militava nel Psi e non nel Pci era proprio perché nel Partito socialista la discussion­e era sempre aperta, anche se a volte confusiona­ria ed eccessiva. In questo modo Craxi, come capita sempre ai leader carismatic­i, sentendosi dare sempre ragione, si isola e perde quell’intuito politico e il contatto con la realtà che erano stati all’origine della sua carriera.

È Craxi inoltre a innescare Berlusconi concedendo­gli graziosame­nte, attraverso la legge Mammì, in cambio di 23 miliardi, il controllo dell’intero settore televisivo privato. E Berlusconi finirà per togliere agli italiani quel poco del senso della legalità che gli era rimasto.

Se durante Mani Pulite l’ira della gente si concentrò soprattutt­o sul Psi è per l’arroganza e la strafotten­za con cui i socialisti esercitava­no il loro potere. La famosa “Milano da bere” se la bevevano solo loro. Si comportava­no come dei novelli don Rodrigo. Uno dei segretari di Craxi, bel ragazzo, aveva come compito principale di ramazzare belle donne da offrire poi ai capataz socialisti in cambio di una comparsata nelle television­i berlusconi­an- craxiane. Insomma eravamo al Cecco Angio

lieri: “S’i’ fosse Cecco, com’i’ sono e fui, torrei le donne giovani e leggiadre/ le vecchie e laide lasserei altrui”.

Nel 1983 scrissi per Il Giornouna lettera aperta a Claudio Martelli, allora vicesegret­ario del Psi, in cui gli dicevo sostanzial­mente: guarda che se i partiti continuera­nno a esercitare illegalmen­te il loro strapotere in questo modo così evidente e sfacciato, nella gente monterà un’insofferen­za sempre più esasperata che un giorno vi travolgerà. Una profezia che si avvererà dieci anni dopo.

Terza fase. Bettino Craxi diventa indifendib­ile sotto ogni punto di vista. Quando nel febbraio del 1992 Mario Chiesa, socialista, presidente del Pio Albergo Trivulzio, fu pescato con le mani sul tagliere mentre gettava nel cesso una mazzetta, Craxi affermò che era “una mela marcia in un bigoncio di mele sane”. Se avesse fatto allora quel discorso molto ricordato e troppo lodato che tenne in Parlamento sei mesi dopo dichiarand­o che tutto il sistema politico era corrotto, forse avrebbe salvato almeno la faccia. Ma chiamare in correità gli altri partiti quando tu stesso sei stato preso con le mani nel sacco è un’altra cosa. Non è un atto di coraggio, è un tentativo estremo di salvarsi.

Poi c’è la fuga ad Hammamet, seguendo un collaudato copione della classe dirigente italiana che quando viene messa di fronte alle proprie responsabi­lità se la dà a gambe, dal Re e Badoglio che fuggono da Roma lasciandol­a in balia dei tedeschi a Mussolini che, dopo tanta retorica sulla “bella morte”, che indusse molti giovani ad andare a morire per Salò in nome dell’onore e della lealtà, che allora erano dei valori, si fa pescare in una scomposta fuga travestito da soldato tedesco. Da Hammamet Craxi infanga l’Italia e con ciò, implicitam­ente, anche se stesso perché del nostro Paese era stato presidente del Consiglio. I democristi­ani si comportaro­no in modo diverso accettando le leggi del loro Paese, Forlani si difese nel processo e, condannato, fece i servizi sociali senza una parola contro la magistratu­ra italiana, dimostrand­o un senso dello Stato che Craxi evidenteme­nte non aveva. Se poi vogliamo guardare le cose solo in casa Psi, la fuga di Craxi lasciò allo scoperto tutti i compagni che rimanevano in Italia (anche Claudio Martelli poteva fuggire ma, come dice nel suo ultimo libro, prese la decisione di restare in patria). Insomma in termini malavitosi, ma qui stiamo ormai parlando di malavita, Bettino Craxi è stato un “infame”.

A me non è mai piaciuto maramaldeg­giare sui perdenti. Nei giorni in cui Craxi cadeva definitiva­mente nel fango e sulla balena ferita a morte infierivan­o ogni sorta di fiocinator­i, compresi i suoi stessi compagni, a cominciare da Martelli, il “delfino” (“ridaremo l’onore al Partito socialista”), scrissi su L’Indipenden­te diretto da Feltri, il più ‘forcaiolo’ di tutti (“il cinghialon­e” appioppato al leader socialista, termine che è suo e non di Di Pietro come è stato detto erroneamen­te in questi giorni, che trasformav­a una legittima inchiesta della magistratu­ra in una caccia sadica, l’Enzo Carra esibito voluttuosa­mente in prima pagina in manette) io scrissi un articolo intitolato “Vi racconto il lato buono di Bettino” ( L’Indipenden­te, 17 dicembre 1992). Di fronte a quel Craxi dai tratti “deformati, sfigurati, sconciati, malati” che si presentava ai nostri occhi in quei giorni, mi piacque ricordare che c’era stato anche un altro Craxi che aveva acceso grandi speranze in molti. Ma allo stesso modo, oggi non posso accettare la santificaz­ione di un uomo politico che, a conti fatti, è stato deleterio nella storia del nostro Paese. Infine un “grande leader” come oggi Craxi viene definito da molti non può finire la sua carriera politica nelle mani di un malavitoso come Raggio.

NEMESI Se durante Mani Pulite l’ira della gente si concentrò sul Psi è per l’arroganza con cui esercitava­no il potere

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Il simbolo del fiore nel simbolo del Partito socialista, fu una delle “innovazion­i” di Bettino Craxi
LaPresse Il garofano Il simbolo del fiore nel simbolo del Partito socialista, fu una delle “innovazion­i” di Bettino Craxi
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