“Io faccio giustizia da Lady Angola a Messi e Ronaldo”
Da Ronaldo a dos Santos Pinto, pirata della rete in cella a Lisbona per i Football leaks, ha diffuso i file sulle frodi dell’ex “regina” d’Africa
Dopo Ronaldo, Messi e Mourinho, Rui Pinto inguaia anche l’ex “prima figlia” dell’Angola, Isabel dos Santos, primogenita del fu presidente, in odore di candidatura alla guida del Paese alle prossime elezioni e da qualche giorno indagata per appropriazione indebita. A far aprire l’inchiesta “L ua nd a leaks”, vale a dire 715 mila documenti tra email, grafici, contratti, audio e conti che hanno ricostruito tutti i movimenti commerciali di dos Santos. Un archivio che l’hacker portoghese già rivelatore dei “Football leaks” nel 2015, avrebbe riversato o ricevuto dal PPLAAF, piattaforma di beneficenza anticorruzione per la protezione degli informatori in Africa, che a sua volta l’avrebbe condiviso con il consorzio internazionale di giornalisti investigativi (ICIJ), i cui articoli di stampa hanno fatto partire l’inchiesta in Angola.
DAL CARCERE DI LISBONA, nel quale è in detenzione preventiva in attesa di essere processato per 147 reati – a seguito dell’estrad izione dall’Ungheria, dove è stato arrestato l’anno scorso per aver trafugato gli archivi che incastravano i giocatori di mezzo mondo implicati in frodi fiscali e scommesse – il 31enne hacker ha fatto sapere di “assumersi tutta la responsabilità” dei nuovi leaks. “Desiderava che fossero note le operazioni complesse condotte con la complicità di banche e avvocati che non solo impoveriscono la popolazione e lo Stato dell’Angola, ma che hanno anche probabilmente danneggiato gravemente l’interesse pubblico in Portogallo”, in cui Isabel dos Santos ha beni significativi, hanno fatto sapere in una nota gli avvocati di Pinto. Uno di loro, William Bourdon, oltre a essere il difensore di Edward Snowden è anche uno dei legali del PPLAAF, per l’a ppunto. Da qui non è difficile immaginare che Pinto, che su Twitter si definisce whistleblower, abbia ricevuto i documenti proprio dal suo legale.
Se così fosse, con questa mossa lui e i suoi difensori vogliono dimostrare che metà dei reati di cui il portoghese è accusato – cioè quelli riguardanti l’hackeraggio e la sottrazione di documenti – siano infondati, visto che Pinto, come in questo ultimo caso, potrebbe essere venuto in possesso di documenti da terzi.
Resta il fatto che con le rivelazioni che smantellano l’impero commerciale della figlia del presidente che ha retto per 38 anni l’Angola prima di dimettersi nel 2017, Rui Pinto torna a dipingersi come un giustiziere più che come un “cattivo”. D’altronde con i “Luanda leaks” – che secondo il quotidiano portoghese Publico gli sarebbero stati sequestrati all’epoca dell’arresto in Ungheria in hard disk e pen drive e sarebbero stati in possesso del PPLAAF da fine 2018, inizio 2019 – in pochi giorni hanno portato Isabel dos Santos, proprietaria di una fortuna stimata intorno ai 2 miliardi di dollari, ad abbandonare la sua partecipazione nella banca Eurobic. Per non parlare del fatto che l’Angola ha formalmente dichiarato la signora dos Santos inquisita per frode e riciclaggio di denaro sporco; il suo “direttore del personale” è stato trovato impiccato, l’attività della multinazionale Efaces è stata sospesa con i dipendenti che temono di non ritornare mai al lavoro, e la partecipazione alla società di telecomunicazioni Nos è in bilico in seguito alle dimissioni di tutti e tre i direttori legati a lei. Il prossimo passo potrebbe essere un ordine d’arresto internazionale per la donna più ricca d’Africa, a meno che la miliardaria angolana non ritorni volontariamente nel suo Paese per essere interrogata. Tutto questo mentre in Portogallo i revisori dei conti e gli studi legali che lavorano sui “Luanda leaks” stanno facendo luce sulle banche che potrebbero aver concesso alla figlia dell’ex presidente angolano un enorme credito finanziario.
A CHIUDERE IL CERCHIO, il recente studio di Transparency international che ha abbassato il rating del Portogallo di due punti nella classifica della corruzione. Motivo? La “mancanza di coraggio” politico del Paese per reprimere il malaffare, anche quando è denunciato nel dettaglio da terzi. Ma non si tratta soltanto del Portogallo: mentre Pinto è in carcere – accusato anche di ricatto nei confronti della società sportiva Doyen Sports in cambio della cancellazione di informazioni sulle sue scommesse, nonostante la sua richiesta di collaborare con le indagini dei “Football leaks” nei diversi paesi – i principali imputati, tra cui Ronaldo, Messi o Mourinho hanno fatto ammenda patteggiando col fisco la restituzione di somme di denaro neanche troppo cospicue, e qualche mese di carcere mai scontato grazie alla condizionale.