I campi di concentramento, luoghi e storie della Memoria
Il treno dei deportati a Milano e la Risiera di San Sabba a Trieste, Fossoli e Ferramonti
Quando si parla di “luoghi della memoria” tutti conoscono Aushwitz e Birkenau; Mauthausen in Austria; Bergen-Belseno il ghetto di Varsavia e quello di Terezin nella Repubblica Ceca, ma senza andare troppo lontano anche l’Italia ha la sua mappa di “luoghi” della memoria: campi, snodi ferroviari e strutture che testimoniano il tentativo dei nazisti di sterminare intere popolazioni – non solo gli ebrei – in nome di una folle ideologia razzista.
Per intraprendere questo viaggio bisogna partire dalla frazione di Fossoli. Siamo a circa sei chilometri da Carpi in provincia di Modena. Qui, in mezzo alla campagna, tra le cascine, è ancora visibile quello che nel 1943 la Repubblica Sociale Italiana trasformò da prigione per i militari nemici a campo di concentramento per gli ebrei. Dal marzo del 1944 diventò campo poliziesco e di transito utilizzato dalle SS come anticamera dei lager nazisti. I circa 5000 internati politici e razziali che passarono da Fossoli ebbero come destinazione i campi di Auschwitz-Birkenau, Mauthausen, Dachau, Buchenwald, Flossenburg e Ravensbrück.
DODICI I CONVOGLI che si formarono con gli internati di Fossoli: sul primo diretto ad Auschwitz, il 22 febbraio, viaggiava anche Primo Levi che rievocò la sua breve esperienza a Fossoli nelle prime pagine di Se questo e un uomo e nella poesia Tramonto a Fossoli.
La storia di questo luogo non finisce qui, perché dopo la guerra, dal maggio del 1947 all’agosto del 1952, ospitò la nascita della comunità di Nomadelfia, voluta da don Zeno Saltini per accogliere i bambini abbandonati e gli orfani di guerra.
Seconda tappa: Trieste, alla Risiera di San Sabba. Raggiungerla è facile. Si trova nell’omonimo quartiere in via Giovanni Palatucci. Il grande complesso di edifici dello stabilimento per la pilatura del riso costruito nel 1898 venne dapprima utilizzato dall’occupatore nazista come campo di prigionia provvisorio per i militari italiani catturati dopo l’8 settembre 1943. Ma verso la fine di ottobre venne strutturato come P o l i z e i h a ft l a g e r (Campo di detenzione di polizia), destinato sia allo smistamento dei deportati in Germania e in Polonia e al deposito dei beni razziati, sia alla detenzione ed eliminazione di ostaggi, partigiani, detenuti politici ed ebrei. Da qui passarono anche le sorelle Bucci nel loro viaggio verso Auschwitz. Ancora oggi sono visibili la “cella della morte” dove venivano stipati i prigionieri tradotti dalle carceri o catturati in rastrellamenti e destinati a essere uccisi e cremati nel giro di poche ore; le 17 micro-celle in ciascuna delle quali venivano ristretti fino a sei prigionieri.
La Terza “sosta” è a Milano , al noto Binario 21 , dove è possibile vedere ancora il convoglio sul quale transitarono fra il 1943 e il 1945 migliaia di ebrei, tra i quali la senatrice Liliana Segre. Ma di là di questi luoghi più noti, anche al Centro e al Sud Italia ci sono testimonianze della tragedia che coinvolse il nostro Paese.
Nelle Marche le tappe sono al campo di internamento di Urbisaglia( che venne allestito, tra il giugno 1940 e l’ottobre 1943, nella villa Giustiniani Bandini presso l’Abbazia di Chiaravalle di Fiastra e al campo di prigionia di Servigliano: realizzato nel 1915 per i prigionieri di guerra austriaci, in seguito all'entrata dell'Italia nel Secondo conflitto mondiale, il governo fascista lo usò come campo di prigionia militare. Quando alla fine di novembre, il governo della Repubblica Sociale Italiana promosse l'istituzione di una rete di campi di concentramento provinciali per gli ebrei catturati nei rastrellamenti, il campo di Servigliano fu scelto come luogo di detenzione per le province di Ascoli Piceno e Frosinone. Decine di internati furono trasferiti da Servigliano al Campo di Fossoli e da lì ai campi di sterminio in Germania.
INFINE, PIÙ A SUD, il campo di internamento di Ferramonti, nel Comune di Tarsia in provincia di Cosenza: è stato il principale (in termini quantitativi) tra i numerosi luoghi di internamento per ebrei, apolidi, stranieri, nemici e slavi aperto dal regime fascista tra il giugno e il settembre 1940. Ferramonti era una contrada paludosa e malarica sottoposta nella seconda metà degli anni Trenta a opere di bonifica da parte della ditta di Eugenio Parrini, un faccendiere molto vicino al regime fascista. Dovendo il governo fascista costruire dei campi di internamento per gli ebrei stranieri e per tutti i cittadini dei Paesi nemici rimasti in Italia, Parrini fece in modo che la scelta della loro collocazione ricadesse nei suoi cantieri di bonifica in modo da utilizzare le strutture già presenti e ottenere il monopolio nello spaccio alimentare.
Nacquero così i campi di Pisticci (Matera), riservato soprattutto a oppositori politici italiani e il campo di Ferramonti di Tarsia, destinato a ebrei e cittadini stranieri nemici. Il campo si estendeva su un’area di 16 ettari ed era composto da 92 baracche di varia dimensione, molte delle quali con la classica forma a “U”, forniti di cucina, latrine e lavabi comuni.
Nella Penisola
Ebrei, stranieri e nemici internati dai fascisti fin dal 1940, dalla Calabria alle Marche