Ora i pm indagano sulla Finanza per lo stop all’Ong
Migranti Richiesta di archiviazione per Casarini e per il capitano della nave. I pm: “L’ordine delle Fiamme gialle era infondato”
Non è una semplice richiesta di archiviazione. Gli atti firmati dalla Procura di Agrigento sul caso della Ong Mediterranea e del soccorso operato dalla sua nave, la Mare Jonio, fotografano un’intera stagione politica. E non è una scena edificante.
Partiamo da un dato. L’inchiesta sulla Mare Jonio – dopo le denunce della Ong – ha partorito un ulteriore fascicolo d’indagine: nel mirino della magistratura questa volta è finita la Guardia di Finanza che, nel marzo dello scorso anno, impartisce a Pietro Massone, il comandante della Mare Jonio, l’ordine di fermarsi e non entrare in acque territoriali italiane. Un ordine talmente infondato, come Il Fattoanticipò già in quei giorni, che per la Procura configura un vero e proprio reato.
IN QUEI GIORNIla Mare Jonio trasporta 49 naufraghi soccorsi poche ore prima. Massone viene indagato per aver disobbedito all’ordine impartito dal pattugliatore della Guardia di Finanza “Apruzzi”, quando la nave è da poco entrata in acque Sar italiane, ovvero lo specchio di mare che prevede il coordinamento dei soccorsi da Roma. L’imbarcazione viene successivamente sequestrata – lo è ancora oggi – dalla Finanza: “Come da disposizioni”, si legge nel decreto di sequestro, “si stabiliva un contatto radio... venivano chieste informazioni generiche, quali numero dei componenti dell’equipaggio, migranti a bordo e porto di destinazione. In maniera collaborativa (la Mare Jonio, ndr) forniva le informazioni richieste... ”. La Gdf però va oltre, informando il comandante che “non è autorizzato dalle Autorità italiane a entrare nelle acque territoriali e che” se avesse disubbidito all’ordine, “sarebbe stato perseguito per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”.
Ascoltando gli audio, la Procura scopre che la Gdf ha addirittura parlato, per ben due volte, di un divieto (mai) disposto dall’autorità giudiziaria. Divieto comunque impossibile, perché l’autorità giudiziaria non può disporlo un ordine simile. Un vero pasticcio, probabilmente motivato dalla concitazione di quelle ore, in cui Matteo Salvini, in quel momento ministro dell’Interno, emana una direttiva per rafforzare la (fantasiosa quanto inesistente) strategia dei “porti chiusi”. Il comandante della mare Jonio non rispetta l’alt della Gdf e tira dritto: viene indagato per aver disobbedito all’ordine impartito da una nave militare. E con il capo missione, Luca Casarini, viene indagato anche per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
La Procura – che ha chiesto l’archiviazione per entrambi i reati – ha verificato che la Libia non aveva mai offerto un porto sicuro. Di più: da quando può gestire i soccorsi, avendo implementato una zona Sar (ricerca e soccorso, ndr), non avrebbe mai offerto, neanche una sola volta, un porto sicuro a una ong.
E ancora: in quelle ore il ministero degli esteri, pur non avendone titolo, chiede un porto sicuro alla Tunisia, che non risponde. Qualunque risposta sarebbe risultata però inutile: secondo i magistrati la Tunisia, non disponendo di una zona Sar, non può offrire alcun porto sicuro.
La richiesta di archiviazione esplora anche la possibilità, per la Mare Jonio, di portare i 49 naufraghi a Malta. Secondo i pm non era l’opzione giusta: l’unica scelta corretta, in ossequio alle normative internazionali, era proprio di trasportare i 49 naufraghi verso la Sicilia e chiedere un porto sicuro alle autorità italiane.
L’INCHIESTA condotta dal procuratore aggiunto Salvatore Vella e la richiesta di archiviazione potrebbero presto rappresentare un precedente giuridico che non sarà più possibile ignorare: la Libia, sostiene la Procura, non ha mai offerto un porto sicuro e – non soltanto per il conflitto riesploso nei mesi scorsi – non è in condizioni di offrirlo. Anche la Tunisia, che non ha una zona Sar, è nelle stesse condizioni. E l’alt all’ingresso delle nostre acque, impartito a una nave italiana da un pattugliatore della Gdf, per l’accusa costituisce addirittura un reato.
“Solo la logica perversa di qualche politicante – hanno commentato Casarini e Marrone – ha trasformato il soccorso in mare in un possibile reato. Abbiamo sempre creduto che i crimini contro l’umanità li commette chi fa morire in mare o nei lager libici donne, uomini e bambini”.
Libia e Tunisia Secondo la Procura nessuno dei due Stati può concedere un porto sicuro per i naufraghi