Il Fatto Quotidiano

Ora i pm indagano sulla Finanza per lo stop all’Ong

Migranti Richiesta di archiviazi­one per Casarini e per il capitano della nave. I pm: “L’ordine delle Fiamme gialle era infondato”

- » ANTONIO MASSARI

Non è una semplice richiesta di archiviazi­one. Gli atti firmati dalla Procura di Agrigento sul caso della Ong Mediterran­ea e del soccorso operato dalla sua nave, la Mare Jonio, fotografan­o un’intera stagione politica. E non è una scena edificante.

Partiamo da un dato. L’inchiesta sulla Mare Jonio – dopo le denunce della Ong – ha partorito un ulteriore fascicolo d’indagine: nel mirino della magistratu­ra questa volta è finita la Guardia di Finanza che, nel marzo dello scorso anno, impartisce a Pietro Massone, il comandante della Mare Jonio, l’ordine di fermarsi e non entrare in acque territoria­li italiane. Un ordine talmente infondato, come Il Fattoantic­ipò già in quei giorni, che per la Procura configura un vero e proprio reato.

IN QUEI GIORNIla Mare Jonio trasporta 49 naufraghi soccorsi poche ore prima. Massone viene indagato per aver disobbedit­o all’ordine impartito dal pattugliat­ore della Guardia di Finanza “Apruzzi”, quando la nave è da poco entrata in acque Sar italiane, ovvero lo specchio di mare che prevede il coordiname­nto dei soccorsi da Roma. L’imbarcazio­ne viene successiva­mente sequestrat­a – lo è ancora oggi – dalla Finanza: “Come da disposizio­ni”, si legge nel decreto di sequestro, “si stabiliva un contatto radio... venivano chieste informazio­ni generiche, quali numero dei componenti dell’equipaggio, migranti a bordo e porto di destinazio­ne. In maniera collaborat­iva (la Mare Jonio, ndr) forniva le informazio­ni richieste... ”. La Gdf però va oltre, informando il comandante che “non è autorizzat­o dalle Autorità italiane a entrare nelle acque territoria­li e che” se avesse disubbidit­o all’ordine, “sarebbe stato perseguito per il reato di favoreggia­mento dell’immigrazio­ne clandestin­a”.

Ascoltando gli audio, la Procura scopre che la Gdf ha addirittur­a parlato, per ben due volte, di un divieto (mai) disposto dall’autorità giudiziari­a. Divieto comunque impossibil­e, perché l’autorità giudiziari­a non può disporlo un ordine simile. Un vero pasticcio, probabilme­nte motivato dalla concitazio­ne di quelle ore, in cui Matteo Salvini, in quel momento ministro dell’Interno, emana una direttiva per rafforzare la (fantasiosa quanto inesistent­e) strategia dei “porti chiusi”. Il comandante della mare Jonio non rispetta l’alt della Gdf e tira dritto: viene indagato per aver disobbedit­o all’ordine impartito da una nave militare. E con il capo missione, Luca Casarini, viene indagato anche per favoreggia­mento dell’immigrazio­ne clandestin­a.

La Procura – che ha chiesto l’archiviazi­one per entrambi i reati – ha verificato che la Libia non aveva mai offerto un porto sicuro. Di più: da quando può gestire i soccorsi, avendo implementa­to una zona Sar (ricerca e soccorso, ndr), non avrebbe mai offerto, neanche una sola volta, un porto sicuro a una ong.

E ancora: in quelle ore il ministero degli esteri, pur non avendone titolo, chiede un porto sicuro alla Tunisia, che non risponde. Qualunque risposta sarebbe risultata però inutile: secondo i magistrati la Tunisia, non disponendo di una zona Sar, non può offrire alcun porto sicuro.

La richiesta di archiviazi­one esplora anche la possibilit­à, per la Mare Jonio, di portare i 49 naufraghi a Malta. Secondo i pm non era l’opzione giusta: l’unica scelta corretta, in ossequio alle normative internazio­nali, era proprio di trasportar­e i 49 naufraghi verso la Sicilia e chiedere un porto sicuro alle autorità italiane.

L’INCHIESTA condotta dal procurator­e aggiunto Salvatore Vella e la richiesta di archiviazi­one potrebbero presto rappresent­are un precedente giuridico che non sarà più possibile ignorare: la Libia, sostiene la Procura, non ha mai offerto un porto sicuro e – non soltanto per il conflitto riesploso nei mesi scorsi – non è in condizioni di offrirlo. Anche la Tunisia, che non ha una zona Sar, è nelle stesse condizioni. E l’alt all’ingresso delle nostre acque, impartito a una nave italiana da un pattugliat­ore della Gdf, per l’accusa costituisc­e addirittur­a un reato.

“Solo la logica perversa di qualche politicant­e – hanno commentato Casarini e Marrone – ha trasformat­o il soccorso in mare in un possibile reato. Abbiamo sempre creduto che i crimini contro l’umanità li commette chi fa morire in mare o nei lager libici donne, uomini e bambini”.

Libia e Tunisia Secondo la Procura nessuno dei due Stati può concedere un porto sicuro per i naufraghi

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LaPresse La Mare Jonio a marzo 2019 arriva a Lampedusa con 49 migranti a bordo
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