Il Fatto Quotidiano

I BONUS RESTANO UN ERRORE GRAVE

- » STEFANO FELTRI

Alzi la mano chi vuole più tasse emeno spesa pubblica. Come ovvio, tutti gli elettori preferisco­no ricevere riduzioni del carico fiscale e migliore welfare e sanità pubblica, e i partiti quello promettono. Ma le risorse non sono infinite, anzi, in un Paese come l’Italia, con un debito pari a 1,3 volte la ricchezza che produce in un anno, sono decisament­e scarse. L’estensione del bonus 80 euro a 4,3 milioni di italiani in più e il suo aumento fino a 100 per altri 16 milioni è un’ottima notizia se l’unico criterio di valutazion­e è il primo (volete meno tasse?), ma non ha alcun senso di politica economica.

I CINQUE STELLE, nel programma elettorale del 2018, si dichiarava­no contrari al bonus Irpef di 80 euro ai lavoratori dipendenti e prometteva­no di abolirlo e volevano anche riformare tutte le detrazioni da lavoro dipendente. Ora hanno cambiato idea, perché nessuno ama alzare le tasse quando è al potere. Ma le ragioni per opporsi a quella misura restano e aumentano nella versione proposta dal governo Conte2. Il nuovo bonus, sommato a quello Renzi del 2014, costerà circa 13 miliardi nel 2020 e 15-16 nel 2021.

Sono tanti, tantissimi soldi, quasi il doppio del Reddito di cittadinan­za destinato ai più poveri. Ma a chi va questo beneficio? Non certo ai più bisognosi, ma alla classe media, e neppure a investimen­ti utili a far ripartire il Paese. Quei soldi vanno a persone con un contratto di lavoro dipendente (un miraggio per disoccupat­i e partite Iva) e un reddito più che dignitoso.

IL 50 PER CENTO dei contribuen­ti italiani che paga l’Irpef, l’imposta sul reddito delle persone fisiche, si colloca tra i 15 e i 50 mila euro annui lordi. Il bonus del governo Conte andrà a pioggia a contribuen­ti che dichiarano fino a 40 mila euro. Non sono redditi da nababbi, certo, ma la Regione più ricca d’Italia, la Lombardia, ha un reddito medio Irpef di 24.720 euro. Quindi il bonus del governo Conte va a persone che, per gli standard italiani, se la passano discretame­nte, soprattutt­o se vivono al Sud dove il potere d’acquisto è maggiore. Mentre, ancora una volta, esclude gli incapienti, quelli che non arrivano a dichiarare un reddito annuo di 8.200 euro. Persone troppo “ricche” per ricevere il reddito di cittadinan­za e troppo povere per il bonus Irpef.

È una misura equa? Decisament­e no, e i 5Stelle di cinque anni fa avrebbero protestato per una simile scelta che vincola miliardi da qui all’eternità (è una misura struttural­e) e conferma che nessun governo ha il coraggio di revocare le elargizion­i decise da quello precedente. Perfino la riforma più iniqua, Quota 100, è stata confermata.

Per quanto iniqua, è almeno una misura efficace? Quasi certamente no, anche se per il governo conta solo dare il messaggio che le tasse scendono. Sappiamo che soltanto metà degli 80 euro è stata spesa in consumi, ma studi definitivi sulla loro efficacia non ce ne sono. Uno dei problemi ancora da approfondi­re, per esempio, è se le imprese abbiano adattato le retribuzio­ni pagate a chi è vicino alle soglie che fanno scattare la riduzione del bonus. Al lavoratore può convenire ricevere uno stipendio più basso dall’impresa se il benefit fiscale è maggiore di quanto perde. E così i soldi pubblici vanno a sussidiare le aziende invece che i dipendenti.

I beneficiar­i dei 100 euro sono persone che possono anche permetters­i di risparmiar­e, quindi non immetteran­no tutte le risorse nell’economia, mentre contribuen­ti più poveri avrebbero avuto una maggiore propension­e al consumo. Ma di risparmio in giro ce n’è fin troppo, in una stagione di tassi a zero o negativi il problema è trovare i rendimenti, e non capitali da investire. Inoltre il governo ha scelto un approccio che riduce l’impatto potenziale: ha fissato i criteri per l’erogazione del bonus per il 2020 ma non per il 2021, in attesa di una fantomatic­a riforma dell’Irpef, così da aumentare l’incertezza e rendere ancora più difficile che il ridotto carico fiscale faccia aumentare i consumi. Questa incertezza renderà minimo anche l’effetto sul consenso al governo: nessuno si fida di misure temporanee. Le risorse sono stanziate in modo permanente, ma i criteri per erogarle sono transitori: costi sicuri, ma benefici incerti.

QUESTA ENNESIMA mancia costa al bilancio pubblico tre volte la spesa per l’accoglienz­a dei migranti (circa 5 miliardi all’anno) o due volte il reddito di cittadinan­za. La sola quota 2020 vale più di quei 3 miliardi per la ricerca impossibil­i da trovare (ecco dov’erano finiti) e che hanno portato alle dimissioni del ministro Lorenzo Fioramonti.

Il bonus da 80 euro e la sua nuova versione da 100 euro si aggiungono al lungo elenco degli orrori di politica economica che hanno contribuit­o a devastare i conti pubblici italiani e a condannare il Paese a una stagnazion­e ormai senza ritorno pur di dare qualche contentino immediato agli elettori.

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