Il Tesoro tace Ponte di Messina, la Spa costosa e inutile da 7 anni deve chiudere
Da 7 anni la Corte dei Conti chiede invano di chiudere la concessionaria statale in liquidazione. Il Tesoro (azionista) non risponde a Palazzo Chigi. E tutti prendono tempo
2019: “Caro Luigi, come ti ho detto per le vie brevi, è intenzione di questa Presidenza del Consiglio chiudere tempestivamente e definitivamente la liquidazione della Società Stretto di Messina spa. Ti ribadisco, pertanto, la necessità di conoscere quanto prima l’avviso che codesto Dicastero, in qualità di azionista, vorrà esprimere”.
Giugno 2019: “Caro Luigi, è ormai un lungo lasso di tempo, sono nuovamente a chiederti di esprimere l’avviso di Codesto Dicastero...”.
Novembre 2019: “Ca r o Luigi, come ti ho già rappresentato ad aprile e giugno, è necessario conoscere le valutazioni del ministero, in ordine alla chiusura di Sdm. Ti rinnovo, pertanto, la richiesta (...) non essendo a tutt’oggi pervenuta alcuna comunicazione al riguardo”.
NELLA STORIAdelle grandi opere italiane non mancano mai aspetti grotteschi. Quella del Ponte sullo Stretto di Messina li racchiude tutti. A scrivere le 3 lettere è il segretario generale di Palazzo Chigi, Roberto Chieppa. Il destinatario, che non ha mai risposto, è Luigi Carbone, capo di Gabinetto del ministro dell’Economia. Si conoscono bene, entrambi appartengono alla schiera dei Consiglieri di Stato padroni dei gangli amministrativi. Ad attivare Chieppa è l’ultima delibera della “Sezione di controllo delle amministrazioni centrali della Corte dei conti”, che a ottobre 2018 chiede di nuovo di chiudere la Stretto di Messina ( Sdm), società concessionaria dello Stato per la costruzione dell’opera. Lo chiede dal 2016, ma nessuno sembra volerlo fare.
Per capire la storia, serve fare un passo indietro. Nel 2005 il consorzio Eurolink (capeggiato da Impregilo, con Condotte e Cmc) vince la gara per il ponte con un ribasso d’asta irrealistico, il 17%, ma poco importa: l’obiettivo è prenotare le preziose penali previste in caso di mancata costruzione. La cifra è già calcolata: 700 milioni. Il primo contratto tra la Stretto di Messina ed Eurolink viene firmato a marzo 2006, con il governo Berlusconi ancora in piedi per l’ordinaria amministrazione. Un mese dopo, l’Unione di Prodi vince le elezioni e blocca tutto. Tre anni dopo il governo Berlusconi modifica il contratto inserendo una clausola mostruosa che assicura il pagamento della penale anche se il progetto definitivo non viene approvato dal Cipe. Nel 2012 il governo Monti ferma l’opera, stabilendo per decreto di dovere a Eurolink solo le spese sostenute più un 10 per cento. Eurolink fa causa a Sdm, a Palazzo Chigi e al ministero delle Infrastrutture chiedendo 700 milioni. Paradosso: nel frattempo Impregilo si fonde con Salini e oggi, grazie a “Progetto Italia” (il colosso in cui è entrata anche la pubblica Cassa Depositi e Prestiti) lo Stato si ritrova azionista di peso in una società che chiede danni allo Stato.
La vera assurdità si raggiunge però con la Stretto di Messina. Ad aprile 2013, la società, partecipata per l’82% dall’Anas e per il 13% da Rfi (entrambe controllate dalle Ferrovie dello Stato, e quindi dal ministero dell’Economia) viene posta in liquidazione perché l’opera non è più prevista. Vincenzo Fortunato, già magistrato amministrativo e potentissimo capo di gabinetto al Tesoro con Tremonti, è nominato commissario. Deve “concludere le operazioni entro e non oltre un anno”. Invece, Sdm è in liquidazione da 7 anni con Fortunato ancora commissario e un compenso di 120 mila euro lordi annui, con 40 mila euro in più di eventuale parte variabile.
SECONDO la Corte dei conti la società va però chiusa: non fa nulla, se non resistere in giudizio alle pretese di Eurolink e pagare avvocati esterni, costa troppo (1,5 milioni nel 2016) e ha pure fatto causa ai ministeri e a Palazzo Chigi chiedendo quasi 300 milioni. Dal 2016, con tre diverse delibere, partite dalle complesse istruttorie del magistrato Antonio Mezzera, la Corte chiede invano di intervenire. L’ultima è dell’autunno 2018. Mezzera spiega che porre fine alla liquidazione farebbe risparmiare molti soldi e decadere qualsiasi pretesa risarcitoria di Sdm verso lo Stato. Una soluzione ottimale per tutti. E invece Fortunato ha risposto che così i soci di Sdm erediterebbero solo i debiti della società, ma non i crediti che vanta verso Eurolink, a cui a sua volta ha fatto causa. Una giustificazione curiosa e – spiega Mezzera – smentita dall’Avvocatura di Stato, che è di altro avviso.
Alle richiestedei magistrati contabili nessuno ha risposto. L’atto, per dire, è stato inviato il 13 novembre 2018 al Tesoro, che aveva 30 giorni per spiegare la scelta di “non ottemperare ai rilievi della Corte”. Ogni amministrazione, spiega la delibera della Corte, si è mossa in maniera disordinata. Il Tesoro ha ventilato un tavolo di lavoro a Palazzo Chigi; il ministero delle Infrastrutture e l’Avvocatura dello Stato hanno chiesto una norma che fissi tempi certi per la chiusura di Sdm e disciplini la sorte dei rapporti pendenti. Per il Tesoro, però, deve occuparsene Palazzo Chigi. Che, invece, ritiene spetti al Tesoro in quanto azionista e al Mit in quanto vigilante. Con questo rimpallo si è andati avanti per mesi. Nel frattempo la sezione di controllo ha inviato gli atti alla Procura contabile affinché valuti l’esistenza di un danno erariale.
Magari è un caso, ma da Palazzo Chigi si è deciso di accelerare. Il Tesoro, però, come mostrano le comunicazioni, non ha nessuna fretta.
I rilievi dei magistrati contabili La società non serve a niente e spende troppo. Il commissario, Fortunato, grand commis, doveva durare solo 1 anno (a 120 mila euro)