Il Fatto Quotidiano

COME AL CIRCO: O CAMBI SHOW O SE NE VANNO

IL “VECCHIO” SALVINI L’immagine dell’Emilia Romagna come una specie di periferia di Calcutta non era credibile nemmeno per chi lì non c’è mai stato

- » ALESSANDRO ROBECCHI

C’è un piccolo paradosso conficcato nelle elezioni emiliane che hanno steso al tappeto il mangiasals­icce del Sacro Cuore di Maria. E il paradosso è questo: nelle elezioni locali più nazionali che si siano mai viste, le più politiche, le più ideologich­e, se mi passate il termine un po’ impegnativ­o per la Borgonzoni, ha vinto alla fine chi ha “nazionaliz­zato” meno la sfida, chi ha parlato di cose sensate, possibili, concrete.

OSSERVATE DA FUORI, da non emiliano-romagnolo, le forze in campo erano soverchian­ti in modo addirittur­a imbarazzan­te per copertura dei media (una citofonata di Salvini valeva come mille incontri pubblici di Bonaccini), questo al netto dei prevedibil­i leccaculis­mi e della piaggeria scoperta e manifesta, addirittur­a garrula ed entusiasta. In un Tg (?) Mediaset, un’intervista a Salvini si è conclusa con la richiesta di firmare il vetro della telecamera, come fanno i tennisti famosi a fine match, per dire. Aggiungere­i il paradosso del candidato governator­e impagliato, che sta appollaiat­o sulla spalla del capo come i pappagalli dei pirati.

Sia messo a verbale: l’Em ilia-Romagna è caso particolar­issimo, a sé, non può (e non deve) fornire indicazion­i su tutto il resto del Paese. Però conferma una tendenza nazionale, o almeno la evidenzia: le narrazioni troppo spinte, lo storytelli­ng estremo, la prevalenza della recita teatrale sul contenuto effettivo, pagano molto nell’immediato e poi poco, o pochissimo in prospettiv­a. È anche divertente seguire quello là che fa il digiuno, che citofona, cha fa colazione, pranzo, cena, che si traveste prima da poliziotto, poi da intellettu­ale con la giacca di velluto, le felpe, le ruspe, il mojito, la “liberazion­e” dell’Emilia-Romagna, coi bambini, senza bambini, con la bambina di Bibbiano che poi non è di Bibbiano, ma va bene lo stesso. Capisco bene il fascino del circo, quel momento di sospension­e in cui ti chiedi: e ora entrerà l’elefante o il giocoliere monco? O il clown suonerà un citofono? Ecco, bene. Poi, però, quando devi decidere a chi dare in mano gli ospedali, per dire, voti Bonaccini e non quella che dice che chiudono di notte, il sabato e la domenica. In generale, insomma, trovo strabilian­te non tanto che si equipari la politica allo spettacolo (una cosa vecchissim­a che ci ha insegnato per decenni nonno Silvio), ma che i politici pretendano di sfuggire alle leggi spietate del mondo dello spettacolo dove, almeno un pochino, bisogna essere credibili. Puoi inventare la storia che vuoi, se fai narrazione, ma deve almeno un po’ assomiglia­re al vero. L’immagine dell’Emilia-Romagna come una specie di periferia di Calcutta che Salvini e la destra hanno cavalcato per mesi non è credibile nemmeno per chi lì non c’è mai stato, è un’esagerazio­ne grottesca, è un numero di cabaret, di quelli troppo reiterati, insistiti, sfilacciat­i dall’uso.

Insomma, Salvini, che era nuovissimo, a un certo punto è sembrato vecchio, già visto. Non è la prima volta che succede, come sa bene l’altro Matteo.

SAREBBE sconsidera­tamente ottimistic­o trarre qualche conclusion­e a livello nazionale dallo spettacoli­no emiliano ( e dare per finito Salvini sarebbe l’errore più grave), ma il dato è abbastanza chiaro: personaliz­zare, trasformar­e un’elezione in un referendum, mettersi in primo piano con in mano il rosario o il cotechino, può funzionare la prima volta, forse la seconda, ma poi bisogna un po’ cambiare repertorio, come gli attori di telenovela­s che a un certo punto si mettono a fare Beckett in teatro, e questo Salvini non lo potrà fare. Settantami­la persone che lo avevano votato otto mesi fa questa volta non l’hanno fatto, e si capisce dunque la difficoltà del capopopolo che vede andarsene un po’ di popolo, pubblico che abbandona la sala, proprio mentre lui fa sforzi sovrumani, inventa nuovi numeri ed è al clou dello spettacolo.

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